Struttura dell’industria lapidea: il caso della Sardegna

La vocazione lapidea sarda non è di recente scoperta, con particolare riguardo al granito, la più importante delle sue risorse settoriali, se non altro dal punto di vista delle riserve accertate e della struttura geologica dell’Isola. Non a caso, rilevanti e prestigiosi impieghi silicei in materiale sardo furono effettuati sin dall’Ottocento e dai primi decenni del Novecento, sia in applicazioni strutturali che ornamentali: basti ricordare, da un lato, le grandi banchine nei porti dell’Egitto, di Malta e di altri Paesi mediterranei, od il basamento della Statua della Libertà, e dall’altro, il rivestimento esterno ed interno della Sede centrale di Cariplo (Gruppo Cassa di Risparmio) a Milano, che proprio per le colonne monolitiche in Grigio Sardo fu ribattezzata confidenzialmente “Cà de Sass”.

 

Dall’inizio degli anni Sessanta la produzione ebbe un impulso che avrebbe consentito una crescita temporanea in progressione geometrica, e di affermarsi come la prima in Italia nel settore del granito. Le vecchie tradizioni sono state largamente superate e le pietre sarde hanno trovato applicazione prestigiosa in impieghi d’impatto mondiale, con particolare riferimento ai rivestimenti esterni realizzati dai maggiori complessi italiani in America Settentrionale e nel Medio ed Estremo Oriente: si può ben dire che l’industria silicea nazionale abbia guadagnato parecchie posizioni grazie alla Sardegna. Unica ma condizionante strozzatura è stata quella relativa alla carenza locale di segherie e laboratori, la cui crescita, anche negli anni di maggiore euforia della domanda, rimase fortemente minoritaria, a fronte di una duratura prevalenza della vendita grezza.

 

La Sardegna rimane fra le Regioni in cui l’escursione fra attività estrattiva e trasformazione appare più evidente. L’Isola, nonostante gli interventi di verticalizzazione attuati negli anni Settanta, compresi quelli ad iniziativa pubblica, non ha potuto mettere a frutto – se non in misura quasi marginale – una delle sue risorse più interessanti ed originali, capace di incrementare sensibilmente il valore aggiunto, e quindi lo sviluppo economico. In tale ottica, restano rilevanti possibilità di incremento dell’occupazione, e restano da valorizzare al massimo le caratteristiche tecnologiche ed economiche del granito che, assieme alla crescita più che proporzionale della domanda, ne hanno fatto un materiale di consolidata competitività, in grado di affermarsi sui mercati internazionali nonostante la gamma relativamente ristretta delle tipologie cromatiche conosciute (grigio e rosa).

 

Quello della verticalizzazione, peraltro, non è il  problema più immediato. In effetti, parrebbe  congruo promuovere interventi di tipo propedeutico, tra cui una legislazione aggiornata in materia estrattiva che regoli in modo equo ed agile l’attività di cava e ponga le basi di un sistema regionale diretto ad organizzare il lavoro sulla base di elementi certi e di prospettive concrete di valorizzazione dei giacimenti, lungi da ricorrenti conati punitivi; un privilegio a favore degli investimenti nel lapideo in virtù dell’incidenza maggioritaria del fattore lavoro; ed infine, la creazione di infrastrutture capaci di elidere carenze strutturali tra cui appare decisiva quella concernente il trasporto, sia in funzione dell’annoso problema di “continuità territoriale”, sia in riferimento alla pesantezza del prodotto, tale da attribuire a spedizione e movimentazione una quota importante, se non anche decisiva, del costo finale.

 

Sebbene in presenza di una verticalizzazione minima e di una promozione assai scarsa non solo a livello regionale, il granito e le altre pietre della Sardegna contribuiscono in misura considerevole all’equilibrio della bilancia commerciale, annullando l’emorragia valutaria dovuta alla consistente importazione silicea. Ecco un motivo in più, in una Regione non ricca di risorse da valorizzare ed in una congiuntura non facile, per difendere e potenziare un settore sano anche dal punto di vista delle relazioni con l’ambiente, e sempre idoneo ad avviare un apprezzabile effetto moltiplicatore.

Fattori di successo: il colore

Foto Ennevi

Marmi e pietre non sfuggono alle regole essenziali del marketing, che assegnano maggiori probabilità di successo produttivo e distributivo alla stregua di alcuni parametri essenziali: qualità, prezzo, servizio. In campo lapideo, peraltro, bisogna aggiungerne almeno uno di particolare rilevanza specifica: l’elemento estetico.
Il materiale litoide è per sua natura irripetibile, proprio perché la presentazione cromatica, in cui sono presenti sfumature e “nuances” assai variegate, non può essere imitato, né tanto meno copiato, nonostante i molteplici tentativi altrui. La catalogazione in rapporto al colore non è facile quando si tratti di un prodotto naturale come marmo, granito od altra pietra, perché in molti casi sfugge ad un preciso riferimento di base; ma non per questo è priva di significato professionale e commerciale. Anzi, le sue indicazioni sono di rilevanza spesso decisiva.
La stessa macro-divisione di base fra calcarei e silicei non prescinde da referenti cromatici: il successo di parecchi graniti è stato determinato dalle disponibilità di colori molto accesi, in diversi casi a livello di esclusive.
C’è di più. L’estrazione dei materiali di base (marmo, granito e travertino) che esprime circa tre quarti di quella mondiale di settore, è riferibile ad un ventaglio molto ampio di colori, mentre quella delle altre pietre (ardesia, arenaria, basalto, beola, limestone, porfido, quarzite, serizzo, trachite, e via dicendo) ha molto spesso una tonalità monocromatica di fondo, sebbene attenuata dalla caratteristica naturale del prodotto.
I colori più diffusi sono quelli meno accesi, con grigio, beige e bianco nelle posizioni di vertice, ed una disponibilità globale maggioritaria. Gli altri colori, dal giallo al nero, dall’azzurro al rosso, dal marrone al verde, al contrario, sono meno frequenti. Ciò determina, secondo una logica legge di mercato, conseguenti differenze nella scala di valore, anche alla luce, ben s’intende, dei caratteri tecnologici, e talvolta, degli orientamenti di gusto.
Le prime due tonalità, vale a dire il grigio ed il beige, sono disponibili quasi dovunque, mentre gli altri colori, pur in assenza di vere e proprie esclusive nazionali, sono presenti in un numero relativamente limitato di Paesi produttori. Ad esempio, il bianco vanta le maggiori concentrazioni in Italia, Grecia e Turchia; il rosa è risorsa tradizionale del Portogallo; il nero vede una buona preminenza del Sudafrica. Dal canto loro, azzurri, marroni e verdi sono reperibili in una schiera piuttosto ristretta di Paesi, con particolare riguardo, rispettivamente, a Brasile, Finlandia, India (ed alla Cina, che con le sue migliaia di cave può gestire un’offerta globale molto articolata). Per quanto riguarda più specificamente il granito, va aggiunto che la sua valorizzazione è stata indotta, in diversi casi, dalla possibilità di immettere sul mercato quantità industrialmente rilevanti di colori forti, fermo restando che anche in campo siliceo le produzioni più ricorrenti restano quelle di materiali a pigmentazione tenue.
Concludendo, è da sottolineare come la vasta gamma di colori che caratterizza la produzione lapidea mondiale costituisca un ulteriore punto di obiettivo vantaggio nei confronti della concorrenza, che non può vantare un ventaglio cromatico di ampiezza simile, anche a prescindere dai tentativi d’imitazione. Il colore, in buona sostanza, è un’opportunità selettiva offerta direttamente dalla natura agli utilizzatori del marmo e della pietra, e quindi, un fattore di successo da tutelare e valorizzare.

marmi e pietre dell’Italia nord-orientale: Ruolo e prospettive della risorsa lapidea in Friuli-Venezia Giulia

La Scalata foto di Paula Elias

Un recente dibattito a proposito dei marmi del Carso, con tanto di aspetti occupazionali ed ambientali, e delle odierne attese economiche di un settore dalle tradizioni millenarie, hanno richiamato l’attenzione sulle sorti di un’attività tuttora importante per la Regione Friuli-Venezia Giulia, ma troppo spesso dimenticata, tanto da risultare in forte controtendenza rispetto alla dinamica mondiale, ed in flessione piuttosto significativa anche nel ragguaglio italiano.
Eppure, le sue esclusive sono di consolidata fama internazionale, a cominciare dalle tante varietà della Pietra di Aurisina, estratta sin dall’epoca romana ed utilizzata, fra l’altro, nei grandi lavori austriaci ed ungheresi dell’età asburgica, ma anche in opere nazionali importanti come le stazioni di Milano e Tarvisio ed il Tempio Voltiano di Como. Lo stesso dicasi per il Fior di Pesco di Forni Avoltri, che ha trovato posto in tante prestigiose commesse italiane ed estere, a cominciare dalla stazione di Firenze e dall’Empire State Building, o per altre pietre friulane di buona consistenza quanto a riserve, e di tecnologia competitiva, ma di estrazione limitata se non anche sospesa, quali Ceppo norico, Grigio carnico, Nero del Vallone, Pietra piasentina, Rosso Ramello (un materiale nel cui bacino dell’Alto Vajont fu giovane cavatore Mauro Corona, che in alcuni suoi libri vi ha dedicato pagine assai suggestive).
Le tradizioni del Friuli-Venezia Giulia sono importanti anche dal punto di vista professionale. Basti pensare a quelle musive, che hanno trovato nuovi motivi di apprezzamento e di successo grazie all’Istituto del Mosaico di Spilimbergo, unico nel suo genere: infatti, la Scuola ospita allievi che provengono da tutti i continenti, e persegue risultati di notevole significato economico, felicemente coniugati con quelli estetici, costituendo un fiore all’occhiello dell’Italia lapidea, sebbene non molto conosciuto.
Avuto riguardo alle dimensioni del mercato internazionale ed alle risorse disponibili in Regione, sarebbe auspicabile che marmi e pietre locali possano fruire di attenzioni che ne consentano un rilancio conforme alle potenzialità: ciò, sia dal punto di vista delle politiche estrattive, oggetto di troppi vincoli operativi, sia sul piano della promozione industriale e distributiva, dove gli incentivi istituzionali sono andati progressivamente in desuetudine.
La critica relativa alla costante emorragia occupazionale che va compromettendo un patrimonio irripetibile è certamente da condividere, perché nel settore lapideo tecnologia e tradizione si traducono in apporti fondamentali di forza lavoro. Tuttavia, non serve lamentare il progressivo disimpegno della manodopera giovanile, oggetto di recenti richiami, in quanto trattasi di un effetto e non di una causa. Serve, invece, sensibilizzare la volontà politica in termini aggiornati e sottolineare il contributo che marmi e pietre possono portare, sostanzialmente dovunque, ad uno sviluppo non effimero.

Materiali in ascesa: la Pietra Leccese

Pietra Leccese (foto dal web)

Pietra Leccese (foto dal web)

L’Italia deve alla pietra un contributo fondamentale al suo progresso civile ed alla sua cultura, tanto più importante in quanto la risorsa lapidea è largamente diffusa sul territorio, al pari delle attività di estrazione e trasformazione.
Quella del Salento, ovvero dell’antica Terra d’Otranto, non fa eccezione: la Pietra Leccese è conosciuta e valorizzata da tempi remoti, grazie alle sue doti di omogeneità e lavorabilità, come dimostrano impieghi prestigiosi e suggestivi come quello nella Fontana Ellenica di Gallipoli, e soprattutto, le grandi realizzazioni locali dell’età barocca. Oggi, la risorsa lapidea salentina costituisce una significativa occasione di sviluppo, con particolare riguardo ai Comuni di Cursi e Melpignano, ma più generalmente, a tutta la provincia del “tacco d’Italia”.
Costituiscono motivo importante di competitività e di successo l’alto rendimento estrattivo, incrementato dalla natura morfologica dei giacimenti e dalla rapida ottimizzazione della tecnica, nonché dalla facile accessibilità alle cave, ma nello stesso tempo, i livelli avanzati di produttività, garantiti da caratteristiche decisive come la compattezza e la continuità cromatica, che si coniugano felicemente con la duttilità, e quindi con un ampio ventaglio di impieghi, dall’architettura all’arte plastica ed alle applicazioni decorative.
Oggi, l’apporto leccese all’industria lapidea delle Puglie non è certamente inferiore a quello dei comprensori storici di Apricena, Fasano e Trani. Lo dimostrano, fra l’altro, le iniziative promozionali della pietra salentina, presente alle maggiori fiere del settore, ed in primo luogo a quella di Verona, con partecipazioni di alto spessore qualitativo e commerciale; ma nello stesso tempo, impegnata in opere editoriali di significativa eleganza informativa. Idonea ad evidenziare la raffinatezza stilistica delle realizzazioni effettuate con questa pietra, e la sicura padronanza del mestiere tipica dei marmisti e degli ornatisti, eredi di quelli che fecero grande ed imperituro il barocco di Lecce.
In effetti, l’impiego principale di questi materiali si è avuto proprio nel Salento, secondo la logica di un mercato arcaico che privilegiava i consumi locali, ma non si deve pensare che l’uso fosse circoscritto soltanto al comprensorio. Quei Maestri lavoravano alacremente anche altrove, come dimostrano le loro attività in Sicilia, a Roma o nel Nord, senza dire che parecchi spunti del loro linguaggio estetico si ritrovano in Austria, in Francia, nel Regno Unito, nella Repubblica Ceca, e via dicendo: un ottimo esempio di cooperazione internazionale “ante litteram” e di vivace osmosi culturale.
Nel mondo globalizzato, la logica puntiforme è stata archiviata: i prodotti lapidei del Salento hanno trovato un successo piuttosto facile anche sui mercati esteri, a conferma della loro credibilità estetica e prima ancora, di quella tecnologica, le cui caratteristiche di resistenza e durata, ovviamente certificate, ne fanno una “pietra che vive” senza limiti e si traduce. secondo l’immagine del Poeta, in una suggestiva aspirazione all’eternità (c.m.)