Rottamazione delle Fiere – Il caso di Carrara

 

Da cima Canalgrande (Foto Daniele Canali)

Da cima Canalgrande (Foto Daniele Canali)

Al pari delle infinite cose umane, anche le Fiere hanno un inizio ed una fine, e quelle di marmi e pietre non fanno eccezione. In tempi ancora recenti, la loro proliferazione aveva raggiunto un’accelerazione da primato, ma poi la crisi mondiale ha dato luogo ad un fenomeno selettivo tuttora in atto: diverse manifestazioni hanno chiuso i battenti, mentre altre hanno consolidato le posizioni di leadership che i mercati avevano conferito loro, in maniera inequivocabile.

Non è il caso di fare esempi che gli operatori del lapideo conoscono molto bene, ma si può dire che diversi Paesi, persino dell’Asia, dove pure si concentra la maggioranza assoluta di produzione e distribuzione, hanno perduto la propria Fiera: pensiamo a Giappone, Corea del Sud, Singapore, Il fenomeno, del resto, si estende a diversi esempi significativi dell’America Latina e dell’Europa, Orientale ed Occidentale. Al contrario, le iniziative di sicuro riferimento, come quelle di Verona, Xiamen, Izmir e Vitoria hanno fatto registrare ulteriori progressi, confermando un primato che per le prime due non è azzardato definire mondiale.

Secondo un’espressione ormai di moda, si deve dire che anche le Fiere del lapideo hanno conosciuto la rottamazione, spesso e volentieri con un sospiro di sollievo di operatori nel cui bilancio d’esercizio le spese di partecipazione avevano assunto incidenze abnormi, tanto più opinabili in quanto caratterizzate da ritorni marginali.

Caso mai, spiace che, pur senza arrivare a risultati tanto icastici, la crisi abbia coinvolto una realtà consolidata da secoli come quella di Carrara, la cui Fiera era sorta verso la fine degli anni settanta grazie alla lungimirante intuizione di Giulio Conti ed al ripudio di vecchie concezioni secondo cui il marmo non avrebbe bisogno di promozione, né tanto meno di tirare la volata alla concorrenza. Purtroppo, i ritardi iniziali e le successive scelte strategiche, non sempre vincenti, avrebbero finito per coniugarsi con i problemi del mercato, dando luogo ai risultati che oggi sono sotto gli occhi di tutti: aggravati, sia consentito dirlo, dalle interminabili logomachie tipiche del momento pubblico.

Oggi, il rischio non troppo nascosto è che Carrara faccia la fine dell’asino di Buridano, il quale, per l’incapacità di scegliere il cibo secondo opportunità e convenienza, finì per morire di fame. Intendiamoci: si tratta di un pericolo che le Aziende più avanzate e modernamente organizzate non correranno mai, ma nell’ottica del distretto, e dei suoi valori socio-economici, l’altra faccia della medaglia è palesemente scoperta. Occorrerebbero scelte unitarie che sono state sempre un sogno, già dai tempi in cui la zona apuana aveva un’Organizzazione di categoria diversa da quella del resto d’Italia, sia pure per ragioni storicamente valide; e servirebbe l’idea di considerare la vera promozione scientifica alla stregua di un investimento, non già di una spesa.

A proposito di cose umane, giova aggiungere che anche nelle situazioni più difficili c’è sempre una soluzione: come diceva un antico proverbio, a tutto c’è rimedio, fuori che alla morte. Fuor di metafora, se si vuole evitare il peggio, sarebbe il caso di prendere atto della nuova realtà lapidea del mondo globalizzato, andare alla ricerca di accordi e collaborazioni secondo ragione e convenienza, e non disperdere un grande patrimonio umano e professionale nella cultura del grezzo. E’ ben vero ciò che si affermava in epoche lontane, quando il blocco era considerato oro, ed il lavorato veniva definito piombo, ma oggi non è più “quel tempo e quell’età” perché marmi e pietre sono diventati, per unanime riconoscimento internazionale, un settore strategico destinato al progresso di tutti, e non certo di pochi.

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