Brexit: effetti e timori per il mondo del marmo

(foto dal web)

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L’uscita del Regno Unito dall’Europa comunitaria, in qualche misura annunciata, anche se gli altri Paesi sembravano confidare nello stellone tristemente simboleggiato dal delitto Cox, non sarà priva di conseguenze anche per il settore lapideo e per il suo indotto. In effetti, il consumo lapideo di marmi e pietre era andato crescendo da diversi anni in tutto il Regno Unito, pur restando fortemente sottodimensionato nel ragguaglio pro capite, senza dire che l’import britannico di tecnologie si era collocato ai vertici europei già dal 2014, pur scontando un regresso di circa un quinto nell’anno successivo.
E’ facile presumere che i contraccolpi non mancheranno, a probabile vantaggio dell’importazione di manufatti da Cina, India e Turchia, che già nel 2015 hanno sopperito al 70 per cento della domanda estera del Regno Unito, supportata da una dimensione assai modesta delle produzioni locali, cosa che ne fa un Paese largamente dipendente dagli approvvigionamenti di materiale straniero. Almeno in prospettiva, potrebbero essere penalizzate soprattutto le importazioni da Italia e Spagna, che al momento sono i maggiori outsider, con volumi peraltro contenuti. All’atto pratico, bisognerà vedere quali saranno gli sviluppi doganali e fiscali, in ogni caso non immediati, perché rivenienti da trattative per l’uscita che si annunciano quanto meno complesse. Caso mai, ci sarà da fare i conti con l’impatto psicologico, e con una minore propensione britannica all’acquisto di materiali di pregio, facilmente fungibili con quelli più correnti di altra provenienza, se non anche con manufatti domestici alternativi che appartengono alla tradizione locale, come il laterizio. Ciò, senza dire delle conseguenze ben più gravi che potrebbero maturare qualora l’esempio del Regno Unito venisse seguito da altri Paesi comunitari, col ripristino di antistorici steccati; ma allo stato delle cose sembra che i Ventisette abbiano le buone intenzioni di fare fronte comune.
Per il comparto lapideo italiano, in ogni caso, gli effetti saranno circoscritti, vista la scarsa incidenza del fatturato inglese sull’export di lavorati. Ciò, con la sola possibile eccezione di qualche prodotto di nicchia, come i masselli per l’arredo urbano e l’arte funeraria, il cui mercato, d’altro canto, è largamente dominato dall’India, ormai da tempo.
Conseguenze maggiori, come si diceva, potrebbero esserci per le tecnologie, ed in particolare per l’import britannico dalla Germania, dalla Svezia, e soprattutto dall’Italia, nel senso che anche in questo campo la concorrenza cinese, già molto agguerrita, appare in grado di trarre vantaggi maggiori dalla nuova condizione, ma va da sé che si dovrà verificare la congiuntura alla luce delle referenze qualitative, in termini di “know-how” e di rendimenti, per non dire della sicurezza, che assicurano all’Italia il controllo della fascia superiore di mercato. E’ banale dire che la situazione è fluida, e che richiede un monitoraggio attento da parte istituzionale, e per quanto riguarda il settore, anche delle organizzazioni di categoria.
Nel medio termine, qualora dovessero intervenire inasprimenti fiscali in qualche misura già annunciati, non è azzardato supporre che il consumo lapideo britannico, in quanto dipendente dall’estero per una larga maggioranza dei suoi effettivi, finirà per entrare in una fase di attesa, anche perché condizionato negativamente nelle sue componenti qualitativamente più elevate, come quelle di provenienza comunitaria. L’Europa dovrebbe attrezzarsi meglio sul piano della promozione, della documentazione tecnologica e della stessa competitività informativa, cosa che presume, anche in campo lapideo, la maturazione di una coscienza unitaria più matura e concreta. Ma questo, come si sa, è tutt’altro discorso.