Marmi e pietre in Italia: Occupazione e redditività nelle Aziende leader del settore lapideo

CanalgrandeAl pari di quanto accade nel resto del mondo lapideo, dove la flessione dell’interscambio globale non ha impedito una significativa crescita della redditività, particolarmente accentuata in Cina, i risultati delle maggiori Aziende italiane, quali emergono dai bilanci per il 2014, evidenziano la permanenza di una gestione positiva, tanto più importante in un sistema produttivo e distributivo caratterizzato da troppi vincoli, a cominciare da quelli finanziari ed ambientali.
Un campione relativo alle prime nove Aziende del settore in termini di fatturato (quattro del comprensorio apuano, tre venete, e due centro-meridionali), consente di verificare che nell’esercizio in parola il volume d’affari ha raggiunto i 334 milioni di euro, con un utile dichiarato nell’ordine dei 18,6 milioni, pari al 5,6 per cento. Quanto all’occupazione, l’aggregato delle suddette Società leader poteva contare su 810 addetti, con un fatturato pro-capite di 413 mila euro, ed un utile di 23 mila.
A parte la scarsa incidenza del campione sul livello occupazionale complessivo del comparto lapideo italiano, che ne conferma la storica parcellizzazione in un ampio coacervo di piccole unità produttive (le Aziende con almeno cento dipendenti in organico risultano soltanto quattro), è facile constatare che nei confronti dell’industria marmifera mondiale il ruolo dell’Italia appare quello di un Paese ulteriormente limitato, in primo luogo nella capacità di partecipare all’espansione avutasi negli ultimi 25 anni, con le sole eccezioni del 2009, ed appunto, del 2015.
Un’altra considerazione importante riguarda il fattore umano: tenuto conto dell’orario di lavoro vigente in Italia, è facile rilevare che ad ogni ora di prestazione professionale hanno corrisposto, sempre nel 2014, un fatturato di circa 270 euro ed un utile di 15: cifre da meditare tanto in sede imprenditoriale quanto in quella sindacale, e prima ancora in quella politica, perché confermano la scarsa competitività del settore, sia in assoluto, sia in rapporto alle altre attività produttive italiane, ad iniziare da quelle riguardanti i comparti contigui.
In tutta sintesi, l’analisi dei risultati di bilancio conseguiti dalle Aziende maggiori, pur dando atto di un equilibrio gestionale che riesce a coniugarsi con l’esistenza di tante strozzature, in primo luogo fiscali e creditizie, dimostra che gli spazi per una moderna politica di investimenti restano oggettivamente ristretti in un sistema che, alla luce della politica bancaria attuale, finisce per dover contare soprattutto sull’autofinanziamento. Va aggiunto che i consuntivi delle Aziende di minore dimensione non possono presumersi ragionevolmente migliori di quelli del campione.
Concludendo, pur nell’apprezzamento per consuntivi che hanno confermato la permanente capacità delle imprese di affrontare la congiuntura con le necessarie attenzioni e con la tradizionale diligenza del buon padre di famiglia, bisogna ammettere che i margini per uno sviluppo conforme alle potenzialità dei mercati esteri, visto che quello interno continua a soffrire per un ristagno edilizio senza pari nel mondo, sono oggettivamente limitati; e che senza un intervento consapevole della volontà politica, più volte invocato, non si andrà troppo lontano.