Madagascar: Occasioni di sviluppo lapideo nel terzo mondo

Il mondo del marmo e della pietra, accanto ad un numero relativamente alto di Paesi sviluppati che controllano la maggioranza della produzione e degli impieghi, annovera un’ampia schiera di altri Stati in cui la valorizzazione del materiale lapideo, nonostante la sua riconosciuta idoneità ad avviare strategie di sviluppo, è tuttora agli inizi. Le cause del ritardo sono parecchie, ma le maggiori vanno individuate in mancanza di tradizioni, infrastrutture carenti, difficoltà professionali; e soprattutto nei problemi finanziari che ostacolano gli investimenti pubblici e privati.

Un caso tipico è quello del Madagascar, la grande isola francofona dell’Oceano Indiano (quarta nel mondo per estensione) che nonostante l’indipendenza conquistata nel lontano 1958, una superficie quasi doppia rispetto a quella dell’Italia, ed una popolazione in rapida crescita, quadruplicata in mezzo secolo e pervenuta agli attuali 25 milioni di abitanti con evidenti forti problemi sociali, sta finalmente avviando nuove iniziative per valorizzare le sue pietre, grazie all’intervento della cooperazione estera, ed in particolare italiana, rivolta all’estrazione di materiali esclusivi – soprattutto silicei – in grado di affermarsi con successo sul mercato internazionale.

L’export lapideo malgascio è sempre stato minimo, e generalmente circoscritto ad alcune partite di granito grezzo, con riguardo prioritario a quelli di pigmentazione accesa, meno diffusi nel mondo ed in quanto tali, oggetto di domanda qualitativamente elevata. Basti dire che nel 2017 il flusso in uscita è stato pari a circa 10 mila tonnellate, ovvero allo 0.2 per mille dell’interscambio planetario in volume, mentre vent’anni prima aveva raggiunto le duemila tonnellate, con incidenza analoga e nessun picco intermedio. E’ inutile aggiungere che le spedizioni del lavorato sono ininfluenti, limitandosi a qualche apporto dell’oggettistica artigianale, mentre l’import è quasi inesistente, tanto da essersi fermato, sempre nel 2017, intorno a 40 mila metri quadrati di materiale proveniente dalla Cina e dall’India, con un volume minimo non difforme da quello del 1998 (con la differenza che all’epoca si trattava quasi esclusivamente di marmo italiano).

Altrettanto marginali risultano gli acquisti di tecnologie per la pietra da parte del Madagascar, con un volume d’affari che nel 2017 si è limitato a 240 mila dollari, contro i 320 mila del 2016, e cifre analoghe per gli anni precedenti. In tutta evidenza, non esiste un’attività industriale trasformatrice, rastremando l’utilizzo della pietra lavorata ai monumenti funerari di élite. Del resto, la tradizione dell’edilizia malgascia, sin dai tempi coloniali, è stata orientata prevalentemente al laterizio, stanti le cospicue disponibilità di argille che hanno valso al Madagascar la tradizionale denominazione di Isola Rossa.

In chiave generale, l’industrializzazione malgascia è tuttora episodica: fatta eccezione per qualche iniziativa in campo tessile od alimentare, anche il settore minerario di prima categoria non è stato in grado di valorizzare compiutamente le proprie risorse, all’infuori delle pietre preziose destinate alla gioielleria estera. Ecco un buon motivo in più per auspicare adeguati interventi infrastrutturali in favore dello sviluppo di un grande Paese come il Madagascar e della disponibilità ad investire anche nel settore lapideo dimostrata dalle iniziative della cooperazione privata: in primo luogo, dal “know-how” italiano.