Morti bianche alle cave di Carrara

Varata a Carrara (Foto Daniele Canali / Marmonews.it)

La storia continua tristemente a ripetersi. Un altro lavoratore, stavolta addetto alla movimentazione di magazzino, ha perduto la vita in un deposito di Marina di Carrara: le circostanze dell’incidente sono tuttora da approfondire, ma certamente surreali, perché secondo le cronache immediate il blocco di marmo che ha colpito questo nuovo Caduto era già stato posizionato. Come se non bastasse, c’è un particolare allucinante: il lavoratore, un giovane di 37 anni che lascia la moglie ed un figlio piccolo, aveva un contratto settimanale, ed aveva iniziato a prestare la propria opera da due giorni, verosimilmente senza alcuna specifica preparazione professionale.

Cave e cantieri sono entrati immediatamente in sciopero, secondo un rituale che si può comprendere in chiave emozionale, ma che certamente non risolve il problema della sicurezza, nonostante tutti gli sforzi che si sono compiuti a livello normativo ed organizzativo. Senza voler anticipare le conclusioni delle indagini che saranno esperite dalla Magistratura competente e dagli Organi di controllo, sembra di poter dire che esistano tuttora sacche di pressappochismo, se non anche di faciloneria, sempre da condannare: a più forte ragione, in un settore come quello lapideo dove il problema della sicurezza è assolutamente fondamentale, in primo luogo a livello preventivo.

Il Sindacato di maggiore riferimento nazionale e locale ha parlato senza mezzi termini di fallimento, ma tutti sanno che quella di estrazione e lavorazione del marmo e della pietra è un’attività importante, destinata ad andare avanti nonostante gli incidenti, il cui numero colloca il settore fra i più pericolosi, nonostante uno sviluppo tecnico che non è azzardato definire esponenziale. Proprio per questo, occorre che le attenzioni siano effettive, e corrispondano ad un vero e proprio imperativo categorico, quand’anche dovessero condizionare, comunque marginalmente, i livelli della produttività. E’ un assunto di cui bisogna prendere atto con scienza e coscienza, anzi tutto in campo istituzionale, ma nello stesso tempo, da parte delle imprese e di tutte le forze sociali.

Sigmund Freud, il padre della psicanalisi, scrisse che la vita è cosa grottesca, inutile e senza senso, con una dichiarazione oggettivamente opinabile, ma in qualche caso non del tutto impertinente, come si può dire per certi incidenti sul lavoro dovuti ad incuria ed incompetenza. Un cavatore apuano dei primi anni cinquanta aveva scritto, assai meglio di Freud, che “si lavora perché ciascuno di noi è come una ruota di vita nell’ingranaggio del mondo” e che gli uomini del marmo sono “creditori di anima”. Ecco un alto messaggio di speranza e di fede che nel momento di questo nuovo lutto e della partecipazione al dolore dei familiari e dei lavoratori, è bene affidare alle riflessioni comuni, ma soprattutto all’impegno collettivo che ne deve necessariamente scaturire.

STONE + TECH: Ottimo consuntivo per la Fiera tedesca del Giubileo

Con 338 Espositori provenienti da 28 Paesi e 12 mila Visitatori altamente professionalizzati, la Fiera lapidea di Norimberga, giunta alla ventesima edizione biennale, ha celebrato in modo assai positivo questo suo prestigioso Giubileo, che la colloca tra le Manifestazioni settoriali di maggiore tradizione e di forte valenza tecnico-commerciale, ma nello stesso tempo, culturale. Le espressioni di soddisfazione formulate dalla Direttrice Beate Fischer, dal Presidente del DNV (Deutscher Naturstein Verband) Joachim Grueter, e da quello del BIV (Federazione degli Artigiani) Gustav Treulieb, debbono essere pienamente condivise, non tanto quale commento di circostanza, quanto come effettiva e pertinente valutazione dei risultati.

E’ passata molta acqua sotto i ponti dai tempi dell’esordio, quando la Stone+Tech era stata riservata agli operatori tedeschi: oggi, la Fiera di Norimberga ha raggiunto una dimensione internazionale consolidata, con interessi di particolare rilievo nell’impiantistica di laboratorio e di finitura, conforme alla struttura prevalente dell’industria lapidea nazionale; e nel settore di trasformazione, per il comparto artistico e monumentale (non a caso, quella di Norimberga è stata la prima Manifestazione a riservare attenzioni specifiche alla funeraria infantile ed a quella per gli animali da compagnia).

Le iniziative collaterali sono state rivolte in maniera specifica, secondo una buona tradizione altrettanto significativa, alle questioni dell’ambiente ed al livello tecnologico ed estetico degli impieghi, in una logica di cooperazione internazionale che si è tradotta, fra l’altro, nel conferimento del Premio “Paths of Life” (riservato ai giovani Artigiani della pietra) al polacco Albert Wrotnowski, mentre la svizzera Esther Schmelcher si è classificata al secondo posto.

Sul piano economico-commerciale, la Fiera ha confermato il buon momento della Germania, in specie nella sua qualità di primo Paese importatore europeo (e quarto importatore mondiale) con un flusso in entrata relativo al 2017 pari a circa due milioni di tonnellate, costituite in larga maggioranza da prodotti finiti, collocandosi non lontano dal massimo storico del 2001, quando gli acquisti raggiunsero 2,4 milioni. Nondimeno, l’industria tedesca si attesta su livelli interessanti anche sul piano dell’export, avendo collocato sui mercati esteri, sempre nel 2017, e sempre con prevalenza del materiale lavorato, circa mezzo milione di tonnellate, pari al 10 per mille dell’interscambio mondiale.

Non meno importanti sono i consuntivi tedeschi nel campo delle tecnologie, con la Germania che occupa il secondo posto europeo nell’export di macchine settoriali, dopo l’Italia; ed il primo in quello dei materiali di consumo (abrasivi e dischi diamantati).

In tutta sintesi, quella di Norimberga è una Fiera viva, come attesta, fra l’altro, il considerevole numero delle “new entries” nell’ambito delle Aziende espositrici. Soprattutto, una Fiera che può guardare con ragionevole fiducia al futuro di un settore come quello lapideo, la cui espansione mondiale continua quasi ininterrottamente da almeno un trentennio, supportata da crescenti preferenze della progettazione qualificata e di una clientela sempre attenta ad effettuare scelte in grado di coniugare la qualità tecnologica ed estetica dei materiali con una competitività economica garantita dalla costante ottimizzazione dei processi produttivi.

Lapideo e Cina: un primato relativo

Per molti anni, la dinamica dell’interscambio lapideo era stata tale da indurre la facile presunzione di una “leadership” sostanzialmente inattaccabile, ma l’evoluzione del mercato mondiale è stata tanto rapida da imporre la revisione di questo assunto: nel 2017, l’export cinese ha fatto registrare un’ulteriore riduzione che si è aggiunta a quella degli anni precedenti, tanto da perdere due milioni di tonnellate nel ragguaglio triennale, e contestualmente, quasi due miliardi di dollari. Sul piano dei volumi, si è dovuto registrare il sorpasso da parte dell’India, dovuto alla crescita davvero impetuosa del suo export di granito grezzo; alla Cina resta un ampio primato sul piano del corrispettivo in valuta, ma la competizione è nuovamente aperta.

Meno critica risulta la tendenza dell’import, dove gli acquisti cinesi, in larga maggioranza di grezzi, hanno recuperato quasi integralmente le flessioni dell’ultimo biennio, sia in quantità che in valore, attestandosi rispettivamente intorno a 14,7 milioni di tonnellate, e due miliardi e mezzo di dollari.

In effetti, produzione e consumi interni sono aumentati in misura superiore all’interscambio, trainando anche gli acquisti dall’estero, che sono diventati più selettivi, soprattutto nei calcarei, inducendo una crescita significativa nel carico delle segherie e dei laboratori locali. Anche per questo, l’esportazione ha segnato il passo, beninteso in senso relativo, con particolare riguardo alla riconsiderazione delle scelte di alta redditività che avevano caratterizzato la congiuntura cinese fino al 2015. In sostanza, sostenere che il comparto lapideo della Cina sia in crisi sarebbe deviante: caso mai, si deve parlare di una domanda interna tuttora esuberante, tanto da condizionare, sia pure in parte minoritaria, le spedizioni all’estero.

Le flessioni più vistose dell’export si sono avute nei grezzi, soprattutto di granito, con spedizioni che nel giro di un triennio hanno ascritto un autentico crollo, pari a quattro quinti del totale, mentre hanno tenuto bene i lavorati, con particolare riguardo a quelli di alto valore aggiunto, peraltro sempre lontani dal massimo storico del 2011, nei cui confronti continua a rilevarsi un decremento non lontano dal milione e mezzo di tonnellate. Del pari, l’indice generale delle spedizioni all’estero di marmi e pietre è sceso a 514 punti, contro i 526 dell’anno precedente ed i 613 del predetto massimo corrispondente. Per quanto riguarda la ripartizione merceologica, ormai sostanzialmente consolidata, la quota complessiva del grezzo si è ridotta al quattro per cento, mentre i prodotti finiti hanno raggiunto quota 96, confermando la vocazione ormai assoluta della Cina per l’export del valore aggiunto.

Nel fatturato estero, l’apporto dei grezzi è sceso a circa 50 milioni e non arriva ad incidere sul totale nemmeno nella misura di un solo punto, mentre nei lavorati, fermo restando il livello di quelli semplici, è da sottolineare il calo degli speciali (cod. 68.02) che è stato superiore al miliardo di dollari, ragguagliandosi al 18 per cento e fermandosi a 5,15 miliardi di dollari. In tutta sintesi, la svolta dell’export lapideo cinese avutasi nell’ultimo biennio ha lasciato il segno soprattutto in valore: alla pressione della domanda interna si è aggiunto il calo di tensione in quella estera, specialmente nell’ambito di alcuni mercati lontani, mentre è stato meno apprezzabile l’apporto della svalutazione monetaria, visto il ben diverso impatto percentuale delle spedizioni in parola.

Il prezzo medio per unità di prodotto, spuntato dagli esportatori cinesi, è cresciuto nel grezzo, peraltro sostanzialmente ininfluente sul bilancio complessivo stanti le basse quantità di blocchi e lastre spediti all’estero, mentre ha evidenziato una caduta quasi verticale nel prodotto finito, dove ha perso quasi sette dollari per metro quadrato equivalente, scendendo a poco più di 30 e contabilizzando un regresso di circa 18 punti, che va ad aggiungersi ai dieci dell’anno precedente. Non si tratta più di una sosta fisiologica, come poteva sembrare all’atto di inversione di un ciclo positivo tradotto in sette aumenti consecutivi con largo raddoppio del prezzo medio ascritto nel 2009; al contrario, si tratta – quanto meno – di un ritorno assai veloce alla vecchia prassi di programmare le destinazioni dell’export con evidenti preferenze per quelle più interessate all’import di materiali correnti.

Tutte le spedizioni di lavorati speciali che vanno per la maggiore hanno dato luogo a decrementi più o meno accentuati con la sola eccezione della Russia ma sul piano dei valori unitari permangono differenze assai ampie, con prezzi massimi spuntati negli Stati Uniti ed in Giappone, mentre i più bassi risultano quelli praticati in Germania, Belgio e Olanda, confermando la paradossale preferenza di questi mercati mitteleuropei per materiali molto economici. Ad un livello appena superiore si sono collocate le vendite cinesi in Corea del Sud, che nonostante il regresso complessivo resta l’emporio leader, con oltre un quarto del fatturato. In ogni caso, il ventaglio delle destinazioni conserva una rilevanza sostanzialmente inimitabile, essendo riferito ad oltre duecento Paesi di tutto il mondo.

Nelle importazioni, attirate dalla crescita dei consumi interni di cui si è detto, e costituite quasi totalmente da materiali grezzi, la preferenza per marmo e travertino ha fatto crescere sensibilmente il vantaggio dei calcarei sui silicei, con incrementi rispettivi nell’ordine dei 500 e dei cento milioni di dollari riportandosi non lontano dal massimo che era stato raggiunto nel 2014, e mettendo in luce un aumento del prezzo medio piuttosto rilevante proprio per i calcarei dove si è ragguagliato al 18 per cento, mentre è fortemente diminuito quello dei lavorati, praticamente dimezzato nel giro di un biennio. Ciò senza dire delle flessioni di lungo periodo, peraltro da interpretare alla luce del carattere elitario che ebbero quelle storiche, di cui ai consuntivi per gli anni novanta quando le attività industriali della Cina erano ancora minime.

Un esame disaggregato dell’import è significativo soltanto per i grezzi: al riguardo, nei calcarei è da porre in risalto il mantenimento della quota turca su livelli decisamente maggioritari, con un nuovo massimo pari ad oltre 950 milioni di dollari ed una crescita in cifra assoluta pari al 40,9 per cento, mentre l’Italia è salita in seconda posizione, con un valore di 185 milioni che risulta quasi raddoppiato ma esprime una quota di poco superiore ai dieci punti . D’altra parte, tutti gli acquisti maggiori effettuati dagli importatori cinesi nel corso del 2017 risultano in aumento, fatta eccezione per le provenienze dal Pakistan.

Invece, in campo siliceo un primato ancora più assoluto è quello dell’India, nuova primatista mondiale dell’export lapideo complessivo e leader altrettanto planetario del granito, le cui vendite alla Cina hanno confermato la copertura di oltre due terzi del totale, seguite a lunga distanza dal Brasile, ed ancora più lontano, dagli altri produttori, ma con cifre appena apprezzabili riferibili ai soli Norvegia e Portogallo. In sintesi, il mercato cinese d’importazione esprime una preferenza spiccata, sul piano calcareo per la Turchia, e nel campo siliceo per l’India, alla stregua certamente prioritaria della competitività economica, ma nello stesso tempo, di un’offerta molto ampia e selezionata di materiali, idonea a soddisfare in modo esaustivo le esigenze del mercato.

Carlo Montani

(Fonte: XXIX Rapporto marmo e pietre nel mondo, Casa di Edizioni Aldus, Carrara 2018)

Il settore lapideo in Indonesia

Fra le realtà emergenti del terzo mondo, con particolare riguardo a quelle del Sud Est asiatico, l’Indonesia appartiene certamente a quelle contraddistinte dalle maggiori potenzialità di sviluppo, se non altro per l’ampiezza delle sue dimensioni geografiche e strategiche: con quasi due milioni di kmq. e 235 milioni di abitanti, si tratta del quarto Paese in cifra assoluta per quanto attiene alla componente demografica, distribuita su circa 18 mila isole, e cresciuta di circa venti milioni nel giro di un decennio. Una realtà che possiede in Giakarta, dove vivono oltre 13 milioni di persone, uno dei maggiori aggregati urbani a livello planetario.

Negli ultimi anni, il prodotto interno lordo ha fatto registrare una forte accelerazione, portandosi intorno ai mille miliardi di dollari in cifra assoluta, ed oltre gli 11 mila nel ragguaglio pro-capite: cosa che, pur evidenziando l’esistenza di un forte divario negativo nei confronti dei maggiori Paesi sviluppati, testimonia che i processi di crescita offrono occasioni importanti anche dal punto di vista dell’interscambio.

Il comparto lapideo non fa eccezione: non a caso, nel 2017 l’importazione indonesiana dei lapidei di pregio ha superato i due milioni di quintali, equamente suddivisi tra grezzi e lavorati, ragguagliandosi allo 0,5 per cento del flusso quantitativo mondiale: cifra significativa ma notevolmente inferiore alle potenzialità, se non altro alla luce della condizione demografica di cui si diceva, e degli effetti indotti sulla vivace attività edilizia. Per quanto concerne le singole provenienze, è quasi pleonastico sottolineare che la maggioranza assoluta dei volumi acquisiti risulta di provenienza cinese, con quote ragguardevoli, nelle posizioni immediatamente successive, spedite dall’India e dall’Italia: quest’ultima, quindi, capace di mantenere un ruolo importante nelle forniture di nicchia, ad alto valore aggiunto.

Dal canto suo, l’export lapideo dall’Indonesia si è attestato intorno al milione di quintali, pari alla metà dell’import: in questo caso, con una discreta prevalenza del prodotto finito e con destinazioni largamente prevalenti, nell’ordine, a Stati Uniti, Australia e Corea del Sud, mentre risultano complementari, se non anche marginali, quelle dirette in Cina ed Europa.

Nel campo delle tecnologie di lavorazione della pietra, l’Indonesia dipende quasi esclusivamente dagli approvvigionamenti esteri, con un flusso di acquisti che, sempre nel 2017, ha interessato un giro d’affari nell’ordine dei 21,4 milioni di dollari, provenienti per oltre il 50 per cento dall’Italia, che ha confermato la sua tradizionale leadership anche su questo mercato, mentre la cifra a saldo è stata coperta in larga maggioranza dalla Cina. Nuove opportunità di penetrazione commerciale sono state offerte anche dalla nuova fiera internazionale “Stone Indonesia” di Giakarta, ma la preferenza per il “know-how” italiano, in riconoscimento dei tradizionali requisiti di qualità, rendimenti e sicurezza, viene da lontano, e si caratterizza per una lunga serie di successi.

In tutta sintesi, pur nell’ambito di un mercato orientato prevalentemente al consumo interno, l’Italia riesce a conservare posizioni di tutto rispetto nelle forniture di marmi e pietre, sia grezzi che lavorati, e soprattutto, una condizione di significativo primato in quelle di macchine ed impianti. Ciò risulta tanto più apprezzabile in un mondo che si distingue per una crescente selettività, ma nello stesso tempo, per rinnovate e motivate attenzioni nei confronti della qualità.

Export lapideo 2017: sale il grezzo (+21%), calano i lavorati (-7,8%)

Foto Ennevi

La politica delle quantità che si va nuovamente affermando nel mondo lapideo, con particolare riguardo alla congiuntura dell’ultimo biennio, non è priva di eccezioni, tra cui emerge quella dell’Italia, il Paese che vanta le maggiori tradizioni di settore e che costituisce tuttora un modello di riferimento, almeno dal punto di vista della qualità, e delle potenzialità offerte dalle sue tecnologie. Del resto, le condizioni operative non sono uguali per tutti, con differenze talvolta decisive, indotte da collocazione geografica, dotazioni infrastrutturali, capacità di valorizzare le risorse, propensione all’investimento, qualificazione professionale, volontà politica.

In Italia, la gestione delle attività settoriali continua ad evolversi in modo disomogeneo: da un lato, la disponibilità di ampie riserve accertate, di una competenza straordinaria e di una produzione tecnologica oltremodo avanzata la pongono in condizioni potenziali di vantaggio, che peraltro vengono regolarmente elise da strozzature finanziarie, difficoltà di accesso al credito agevolato, massimalismo ecologista, ristagno dell’attività edilizia, carenze promozionali, limiti della politica d’intervento. Si tratta di una condizione evidentemente contraddittoria, con effetti conseguenti sull’economia del settore e sui risultati della sua gestione, a cominciare dall’interscambio: effetti positivi soltanto in parte, come attestano le cifre.

Nel 2017 l’esportazione italiana ha fatto registrare una crescita di oltre centomila tonnellate, con un progresso del 4,6 per cento, che diventa più apprezzabile a fronte delle diminuzioni ascritte nel triennio precedente, per un totale di circa 14 punti. D’altra parte, la crescita in parola si deve quasi esclusivamente ai grezzi calcarei, dove le spedizioni si sono incrementate nella misura di 250 mila tonnellate, raggiungendo il nuovo massimo storico e mettendo a segno un balzo del 21 per cento, mentre i lavorati hanno perduto oltre centomila tonnellate, con una contrazione del 7,8 per cento che nel ragguaglio ventennale ammonta addirittura alla metà, evidenziando un decremento pari a 1,4 milioni di tonnellate.

Il ruolo crescente assunto dal grezzo nell’export italiano diventa particolarmente chiaro nella scomposizione delle spedizioni per tipologia di prodotto in quantità ed in valore, dove quelle dei blocchi e delle lastre a piano sega di materiali calcarei sono pervenute alle quote massime proprio nel 2017, raggiungendo il 49 per cento nei volumi ed il 20,8 per cento nei flussi valutari (tav. 56), mentre sono specularmente diminuite al 42,4 per cento le vendite estere di lavorati con valore aggiunto, ed al 75,4 per cento quelle in valore, con regressi rispettivi di sei punti e mezzo, e di oltre quattro. Ne emerge una modificazione strategica che è pervenuta ad una preferenza più accentuata per la politica del grezzo: da una parte, per l’incremento della domanda estera di blocchi, e dall’altra, per la diminuzione di quella del prodotto finito, ma nello stesso tempo per la minore disponibilità agli investimenti nel processo di verticalizzazione.

I maggiori acquirenti del grezzo italiano, con largo vantaggio sugli altri, sono la Cina e l’India, che nel 2017 hanno alimentato il 68 per cento del totale esportato dall’Italia, con un’incidenza pressoché uguale in valore, mentre le spedizioni totali hanno raggiunto 452 mila tonnellate, con un aumento del 29,8 per cento rispetto al 2016, e del 21,3 per cento in valore. I prezzi medi sono cresciuti per quasi tutte le vendite, comprese quelle nei mercati minori (tav. 57) dando luogo, anche per questo aspetto, ad un vero e proprio “rally”.

Quanto all’import, l’andamento negativo è stato ancora più forte, con un regresso di 140 mila tonnellate nei confronti del 2016, pari al 12,4 per cento, che porta a sette quelli annuali consecutivi e registra un crollo del 63,5 per cento rispetto al massimo del 2006, a cui corrisponde una media annua nell’ordine dei sei punti (tav. 58): ciò, senza dire che gli approvvigionamenti italiani dall’estero, un tempo costituiti in larga maggioranza da grezzi, con riferimento prioritario a quelli silicei, sono pervenuti al 25,8 per cento di materiale lavorato, evidenziando un ulteriore elemento critico per quanto riguarda le attività di segheria e di ulteriore trasformazione del prodotto semilavorato.

Il rovescio della medaglia assume un’evidente visibilità nell’andamento dei valori medi, in specie del materiale finito, dove l’accelerazione si è fatta più cospicua proprio negli ultimi anni, tanto che nel 2017 il prezzo per unità di prodotto ha conseguito il nuovo massimo con oltre 63 euro al metro quadrato equivalente (tav. 59) speculare a quello in valuta extra-europea, di poco inferiore ai 72 dollari, come già evidenziato nel raffronto con le quotazioni altrui, che vede proprio l’Italia in posizione di leader. Questo valore medio esprime alcuni massimi per singole destinazioni largamente superiori ai cento dollari, come è avvenuto, nell’ordine, per Regno Unito, Russia, Stati Uniti e Canada, a conferma di un gradimento per il prodotto italiano ormai consolidato (tav. 60) ed esteso anche ai mercati più interessati a materiali correnti ed a formati standard, quali Germania, Arabia Saudita, Emirati e Kuwait.

Il consuntivo italiano del 2017, in conclusione, mette in evidenza una gestione prevalente finalizzata alla redditività, tipica delle politiche aziendali rivolte al beneficio immediato, che non appare allineata a quella di altri Paesi protagonisti e concorrenti, cominciando dall’India e dalla Cina, dove le opzioni prevalenti sono orientate in senso quantitativo: beninteso, senza pregiudizio degli equilibri globali di gestione, ma attraverso un profitto che riviene soprattutto dai maggiori volumi prodotti e venduti. In questo senso, le indicazioni già emerse negli esercizi precedenti circa la vocazione italiana a riconsiderare la strategia del valore aggiunto nell’ottica dei mercati di nicchia, e soprattutto a sviluppare le opzioni di mercato in favore del grezzo, ne traggono ulteriore conferma.

L’analisi di Marmomac °52

1650 espositori provenienti da 56 Paesi e 68 mila visitatori giunti da 147 Stati di tutti i continenti hanno consentito alla Fiera di Verona di conseguire nuovi record di presenze, ed un bilancio promozionale che ne ha ulteriormente confermato la riconosciuta leadership nel mondo del marmo e della pietra. Il successo della manifestazione scaligera si è completato con una quota degli espositori esteri giunta a due terzi del totale, e con l’eccellenza delle iniziative collaterali.

E’ congruo sottolineare come il trend di crescita della Fiera venga da lontano, con un tasso di sviluppo che nel lungo termine è stato superiore a quello del comparto lapideo mondiale, peraltro assai consistente, e competitivo anche nei confronti del sistema economico considerato nel suo complesso. In altri termini, non è azzardato riconoscere alla Fiera un ruolo propulsivo che trascende le cifre e contribuisce in maniera determinante a consolidare la permanente funzione strategica dell’Italia.

Non a caso, tra le iniziative salienti dell’ultima edizione si sono collocate la firma del nuovo accordo di partenariato con la Cina, le visite ufficiali di altri Paesi protagonisti come India e Brasile, e la stessa intesa sottoscritta con Carrara “per la promozione congiunta dei rispettivi distretti lapidei” che in qualche misura si può leggere quale ulteriore opportunità offerta al comprensorio apuano per adeguare le proprie strategie alle reali esigenze della domanda mondiale.

Lo studio del mercato, come d’uso, ha trovato un momento particolarmente significativo nella presentazione del ventottesimo “Rapporto Marmo e Pietre nel mondo” da cui è emersa una buona ripresa di produzione ed interscambio quantitativo, assieme ad una flessione non marginale dei valori medi, fermo restando il primato dell’Italia nel prezzo di vendita dei propri manufatti, pari al doppio di quello mondiale, per non dire della sua consolidata leadership nel campo delle tecnologie.

Un’altra ricerca, prodotta dal momento finanziario, e condotta sui bilanci di oltre quattrocento Società italiane operanti nell’aggregato lapideo, ha permesso di accertare che nel 2016 il risultato economico del settore è stato senz’altro soddisfacente, traducendosi in un margine lordo di 13 punti: cosa che sembra divergere dalla crisi di molte piccole aziende, e di alcune compagini associative minori, ma che trova conferma nel suddetto primato del prezzo medio dell’export.

Caso italiano a parte, il mondo lapideo continua a crescere ed a manifestare propensioni ad investire, molto importanti anche in Paesi di seconda e terza fascia, sottolineando l’esistenza di prospettive in chiave di ulteriore sviluppo, in cui la Fiera di Verona costituisce, oggi come ieri e come domani, un punto di riferimento essenziale.

Presentato a Marmomac il XXVIII Rapporto marmo e pietre nel mondo

Il Rapporto “Marmo e Pietre nel mondo” che esce ad ogni cadenza annuale ad opera di Carlo Montani, per i tipi della casa di Edizioni Aldus, costituisce ormai da tempo un appuntamento di grande importanza nella giornata inaugurale della Fiera di Verona. Anche nel 2017, il convegno per la ventottesima edizione dell’iniziativa è stato conforme ad attese e tradizioni, con un significativo concorso di operatori, esperti e giornalisti provenienti da vari Paesi, quali Brasile, Germania, Giappone, India, Macedonia e Polonia, e naturalmente, dai maggiori distretti Italiani.

Daniele Canali, nella sua qualità di Editore, ha illustrato gli scopi del Rapporto, che possono essere sintetizzati nella disponibilità di uno strumento di lavoro al servizio del settore, unico nel suo genere ed universalmente apprezzato, mentre l’Autore ne ha sintetizzato i contenuti essenziali riassumibili in un ulteriore incremento di produzione, interscambio e consumi a livello mondiale, a fronte di una decrescita del fatturato, che in cifra assoluta si è ragguagliato ad oltre 21 miliardi di dollari, nell’ordine del sette per cento. In sostanza, a fronte di crescite anche importanti della produttività e degli utilizzi, si è avuto un ripensamento delle più recenti politiche di reddito, con la conseguente ripresa di una ritrovata strategia di democratizzazione degli usi di marmo e pietre. Quanto alle tecnologie, la congiuntura ha promosso aumenti significativi degli investimenti soprattutto nei Paesi terzi, mentre quelli sviluppati hanno preferito valorizzare al meglio le strutture esistenti, ferma restando una consolidata leadership italiana in termini di produzione e distribuzione, ma prima ancora di qualità e “know-how”..

Il dibattito che segue tradizionalmente la presentazione, è stato proficuo e costruttivo, come è nelle tradizioni del Rapporto Aldus. Fra gli interventi di maggiore impegno si debbono segnalare quelli di Chiodi (Abirochas), circa le prospettive future del Brasile; Fiorucci (Fillea-CGIL), con riguardo prioritario alle questioni socio-economiche del comparto lapideo italiano; Gussoni (Internazionale Marmi Macchine Carrara), che ha posto il problema del confronto fra pietra naturale ed artificiale; Lazzaroni (Associazione Marmisti Lombardi), in merito ai problemi organizzativi del settore, anche in riferimento alla sua tradizionale parcellizzazione; Porro (Studio Geologico Bettini & Porro), a proposito del minore contributo italiano allo sviluppo estrattivo e trasformatore dei Paesi terzi.

A tutti hanno risposto, per quanto di competenza, Canali, Montani e Marcesini (ISR). In tutta sintesi, il Brasile ha ottime possibilità di crescita che diventeranno maggiori nella misura in cui sappia valorizzare le risorse di tutto il suo immenso territorio e diversificare meglio la distribuzione, in specie dei lavorati; la cooperazione con il momento sindacale italiano è non soltanto auspicabile ma necessaria, al pari di una maggiore propensione agli investimenti imprenditoriali nel quadro di un confronto collaborativo; il ruolo della pietra artificiale, in crescita accelerata soprattutto all’estero, deve essere visto anche nella logica di una razionale valorizzazione degli scarti, che costituiscono un problema di base del lapideo italiano; la funzione associativa è da ripensare in un’ottica di rappresentanza più esaustiva; e quanto al lavoro italiano nel mondo, c’è da chiedersi quanto sia congrua un’opzione, peraltro politicamente comprensibile, che vede primeggiare soprattutto l’emigrazione dei colletti bianchi.

Pianeta Russia: effetti delle sanzioni per l’aggregato lapideo

La Camera dei Rappresentanti di Washington ha dato il via ad un’ulteriore serie di sanzioni nei confronti della Russia, nonostante i dubbi e le perplessità di taluni alleati europei, ivi compresa l’Italia: atteggiamento, quest’ultimo, facilmente comprensibile alla luce dell’interscambio più recente, anche per quanto concerne marmi e pietre, assieme al relativo indotto.  Infatti, l’import russo era già stato penalizzato in maniera pesante, nonostante le ampie potenzialità di questo grande mercato, sia dal punto di vista produttivo, sia sul piano dei consumi.

L’interscambio settoriale della Russia vede una larghissima prevalenza degli acquisti, sia di materiali lapidei, soprattutto  lavorati, sia di tecnologie impiantistiche. In particolare, il consuntivo per il 2016 si è compendiato in approvvigionamenti per 436 mila tonnellate, con un buon recupero rispetto all’anno precedente ma con un regresso residuo del 21,2 per cento nei confronti del 2014, mentre l’export, di poco superiore alle 50 mila tonnellate, è rimasto quasi stazionario. Dal canto suo, il consumo domestico, nell’ordine dei 14 milioni di metri quadrati, risulta in flessione nella misura del 13,6 per cento, sempre in sede di ragguaglio biennale.

Non meno negativo è il bilancio tecnologico. Il lieve recupero del 2016, nell’ordine del dieci per cento, non deve prescindere dal risultato di medio periodo, in cui il regresso è stato di dimensioni straordinarie, in specie nei confronti del 2013, nei cui confronti sussiste una perdita globale nell’ordine dei due terzi, analoga a quella ascritta dall’Italia, primo Paese fornitore. Non a caso, il valore degli acquisti russi di tecnologie è sceso dai 141 milioni di dollari del 2013 ai 44 dello scorso esercizio, mentre l’apporto italiano è precipitato , nel medesimo periodo, dai 34,6 milioni di dollari ai 12,2  del 2016, ed in volume da 17.170 a 8110 quintali.

Sono cifre impietose, che attestano come le sanzioni non abbiano colpito soltanto i beni di largo consumo, a cominciare dagli alimentari, alla stregua di quanto si afferma da parte di una facile vulgata. Infatti, i beni industriali non sono stati meno penalizzati, anche in un comparto come quello lapideo, in cui la valorizzazione delle risorse locali costituisce uno strumento di sviluppo generalmente riconosciuto, tanto più che le risorse russe, sebbene ridotte dalla perdita storica di quelle dell’Ucraina e degli altri Paesi  ex sovietici, sono sempre più che ragguardevoli, dalla Carelia agli Urali ed alla grande direttrice transiberiana.

In questa ottica, è per lo meno sconcertante che le sanzioni abbiano riguardato un ampio ventaglio di merci e di servizi, in maniera sostanzialmente indiscriminata. Senza entrare nel loro fondamento giuridico e politico, su cui sono stati già versati i classici fiumi d’inchiostro, sia consentito aderire alle perplessità di cui si diceva in premessa, anche per quanto riguarda un comparto come quello lapideo, la cui idoneità ad avviare e potenziare politiche di espansione nel comune interesse è stata oggetto di autorevoli pronunzie della comunità internazionale e delle sue Organizzazioni più significative.

Spunti di fiducia dall’Assemblea di Confindustria Marmo Macchine: Pronti al futuro!

Flavio Marabelli (foto Marmonews.it)

Nel 2016, il saldo attivo della bilancia commerciale italiana è stato pari a 51 miliardi di euro, contro i 42 dell’anno precedente, con una crescita nell’ordine del venti per cento: un risultato lusinghiero a cui marmi e pietre, assieme all’indotto tecnologico, hanno contribuito con due miliardi e mezzo, e quindi col cinque per cento del totale, tanto più significativo qualora si pensi che l’incidenza del comparto sul valore dell’export nazionale non arriva all’uno per cento.

Ecco una delle tante informazioni “formative” rivenienti dalla recente Assemblea Generale di Confindustria Marmo Macchine (Milano, 15 giugno): ciò, con particolare riguardo all’intervento del Presidente Onorario Flavio Marabelli da cui è emerso che il mondo lapideo italiano è sempre vivo, ed in grado di guardare all’avvenire con rinnovata fiducia. Basti dire che quel cinque per cento non è lontano dalle quote ascritte da taluni grandi comparti aggregati, come quello alimentare.

Al di là degli adempimenti istituzionali, votati in un contesto di forte coesione che sottolinea la significativa convergenza di comuni intenti anche da parte di categorie storicamente difformi nell’approccio strategico ed in quello promozionale, l’Assemblea ha fornito parecchi spunti di riflessione propositiva che non potranno e non dovranno essere ignorati, in primo luogo dal momento politico. Tra gli altri, emerge l’esigenza di rendere strutturali gli incentivi di “Industria 4.0” perché le provvidenze a carattere temporaneo, come ha ricordato lo stesso Marabelli, riducono gli effetti positivi di ogni intervento e condizionano quella “rivoluzione culturale” di cui il contesto produttivo avverte la crescente necessità.

L’Assemblea del 2017 si è svolta all’insegna di un logo che la dice tutta sulla volontà di progredire da parte dei marmisti e dei produttori di tecnologie: Pronti al futuro! In realtà, si è fatto già molto di quanto era possibile fare, ma altrettanto dovrà sussistere nell’ambito delle opzioni avvenire. L’assunto è stato sottolineato in modo particolare anche nella relazione ufficiale del Presidente Stefano Ghirardi, con annotazioni di rilievo sul nuovo contratto nazionale per gli addetti all’industria lapidea, sottoscritto in un’ottica cooperatrice di buon auspicio per le future relazioni sindacali, cui hanno fatto seguito, nello scorcio iniziale del 2017, taluni apprezzabili miglioramenti nelle variabili macro-economiche settorialmente più importanti.

Sulla stessa lunghezza d’onda hanno insistito nei loro interventi, fra gli altri, il Direttore Generale di Veronafiere, Mantovani, sottolineando come la collaborazione col mondo imprenditoriale del comparto sia stata sempre prioritaria e condivisa sin da tempi lontani, quando la leadership della Manifestazione scaligera non era ancora scontata, ed aggiungendo che per il 2017 si annunciano nuove cifre da primato, anche in alcune controllate come quella brasiliana di Vitoria; il Presidente dell’ICE, Scannavini, attirando l’attenzione sulla ripresa dell’export generale e settoriale, sul buon andamento degli investimenti esteri in Italia, e soprattutto, sulle decine di eventi specifici in programma nel biennio, per un investimento complessivo nell’ordine dei sei milioni di euro, verosimilmente destinato ad iterarsi nella sua realtà di misura strategica; ed il prof. Serio dell’Università Cattolica di Milano, che ha coordinato un’ampia ricerca sul comparto, cui ha partecipato un terzo degli Associati, con particolare riguardo al ricambio generazionale ed al quadro complessivo di un’industria conservatrice in senso illuminato, ossia propensa a quello che in altri tempi si sarebbe potuto definire un progresso senza avventure (come ha confermato la tavola rotonda di chiusura, con alcune partecipazioni imprenditoriali di rilievo).

In tutta sintesi, dal settore lapideo e dal suo indotto, pur condizionato dal ristagno permanente dell’attività edilizia in Italia, da una concorrenza internazionale sempre più selettiva e da attenzioni istituzionali non certo adeguate alla rilevanza socio-economica del comparto, perviene la conferma di quanto sia importante la capacità di confrontarsi attivamente e responsabilmente col rischio d’impresa, nel quadro di una politica di investimenti (compresi quelli promozionali) e quindi del credito, adeguata alle forti e mutevoli esigenze della globalizzazione. Il tema di fondo, come è stato affermato in Assemblea, resta quello di incrementare i salari e di tutelare i valori professionali tipici del “Made in Italy” attraverso la crescita proporzionale della produttività: si tratta di un programma impegnativo, ma la struttura unitaria del settore consente di presumere l’esistenza di una volontà operativa idonea a conseguire risultati probanti.

Etiopia: sviluppo lapideo per un paese in crescita

Con quasi cento milioni di abitanti, l’Etiopia è uno Stato che si va affermando nello scacchiere africano come una realtà di notevole interesse, attestato da un forte incremento del PIL (intorno agli otto punti), ma condizionato da un sistema economico che ancor oggi è prevalentemente agro-pastorale.
In campo lapideo, pur esprimendo un interscambio di marmi e pietre tuttora limitato, al pari di quanto accade per quelli contigui, l’Etiopia è un Paese che da diversi anni sta manifestando una forte propensione all’acquisto di tecnologie settoriali, giunto ad oltre 30 milioni di dollari nel quadriennio compreso fra il 2013 ed il 2016. In particolare, il 2015 ha visto il massimo storico dell’import etiope di tecnologie, per un valore nell’ordine degli 11 milioni, provenienti dall’Italia nella misura del 68,7 per cento; quanto al 2016, si è registrata una flessione, tutto sommato fisiologica, con acquisti per 6,3 milioni, ed un apporto italiano del 40 per cento, a fronte di una concorrenza cinese momentaneamente prioritaria.
I dati di medio periodo, peraltro, dimostrano che l’Italia ha saputo affermare decisamente la propria qualità, e nello stesso tempo, il proprio “know-how”. Infatti, se è vero che nel 2013 l’Etiopia aveva acquistato macchine ed impianti del lapideo per 5,6 milioni di dollari, e nel 2014 per 7,8 milioni, è ugualmente vero che gli “shares” italiani di questi due anni erano stati rispettivamente del 3,4 e del 2,3 per cento, evidenziando posizioni marginali. Nel biennio successivo, invece, c’è stato un vero e proprio salto di qualità, con una penetrazione italiana quasi travolgente, a suffragio di una promozione incisiva, ma soprattutto, di una valutazione oggettiva delle prestazioni tecnologiche ottimali da parte delle imprese etiopi.
L’analisi disaggregata evidenzia una propensione maggioritaria all’import delle macchine di levigatura, lucidatura e trattamento delle superfici, con oltre metà del valore acquistato, mentre le tecnologie di segheria e di taglio, pur avendo espresso un volume d’affari apprezzabile, risultano in subordine, al pari dell’impiantistica complementare. Ciò significa che la struttura produttiva etiope è ormai sviluppata, anche alla luce degli investimenti nel momento primario già affettuati in passato.
La mancanza di un flusso rilevante dell’export lapideo, di cui si diceva (ed anche dell’import) significa che le destinazioni del prodotto finito riguardano soprattutto il mercato interno, a fronte di una produzione estrattiva che, in base ai più recenti dati di fonte IGDA, si ragguaglia a 450 mila tonnellate in ragione annua, e quindi, ad una potenzialità di lavorato (nel riferimento convenzionale al manufatto avente spessore di cm. 2) pari ad alcuni milioni di metri quadrati, cui corrisponde un consumo teorico di mezzo metro per abitante, largamente inferiore a quelli europei, ma pur sempre doppio rispetto alla media mondiale. Sono dati che dimostrano l’importanza di questo mercato anche in un’ottica di prospettiva, con particolare riferimento alle potenzialità di sviluppo dell’export, sinora condizionate dalle difficili condizioni infrastrutturali, in primis dei trasporti.
L’Etiopia, in effetti, possiede riserve accertate di significativa consistenza, e talvolta, di buona tradizione (come emerge dal fatto che siano stati oggetto di specifico interesse già da tempi remoti e di valutazione positiva anche da parte dello Scamozzi), che evidenziano l’idoneità di questo Paese a tradurre in fatti concreti le vecchie raccomandazioni di fonte internazionale circa l’opportunità di promuovere politiche di sviluppo del lapideo. Ecco un caso emblematico di possibile cooperazione fra l’investimento di capitale estero e l’intrapresa locale, non senza il supporto di auspicabili interventi pubblici finalizzati ad implementare il livello socio-economico del Paese.

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