Fattori di successo: il colore

Foto Ennevi

Marmi e pietre non sfuggono alle regole essenziali del marketing, che assegnano maggiori probabilità di successo produttivo e distributivo alla stregua di alcuni parametri essenziali: qualità, prezzo, servizio. In campo lapideo, peraltro, bisogna aggiungerne almeno uno di particolare rilevanza specifica: l’elemento estetico.
Il materiale litoide è per sua natura irripetibile, proprio perché la presentazione cromatica, in cui sono presenti sfumature e “nuances” assai variegate, non può essere imitato, né tanto meno copiato, nonostante i molteplici tentativi altrui. La catalogazione in rapporto al colore non è facile quando si tratti di un prodotto naturale come marmo, granito od altra pietra, perché in molti casi sfugge ad un preciso riferimento di base; ma non per questo è priva di significato professionale e commerciale. Anzi, le sue indicazioni sono di rilevanza spesso decisiva.
La stessa macro-divisione di base fra calcarei e silicei non prescinde da referenti cromatici: il successo di parecchi graniti è stato determinato dalle disponibilità di colori molto accesi, in diversi casi a livello di esclusive.
C’è di più. L’estrazione dei materiali di base (marmo, granito e travertino) che esprime circa tre quarti di quella mondiale di settore, è riferibile ad un ventaglio molto ampio di colori, mentre quella delle altre pietre (ardesia, arenaria, basalto, beola, limestone, porfido, quarzite, serizzo, trachite, e via dicendo) ha molto spesso una tonalità monocromatica di fondo, sebbene attenuata dalla caratteristica naturale del prodotto.
I colori più diffusi sono quelli meno accesi, con grigio, beige e bianco nelle posizioni di vertice, ed una disponibilità globale maggioritaria. Gli altri colori, dal giallo al nero, dall’azzurro al rosso, dal marrone al verde, al contrario, sono meno frequenti. Ciò determina, secondo una logica legge di mercato, conseguenti differenze nella scala di valore, anche alla luce, ben s’intende, dei caratteri tecnologici, e talvolta, degli orientamenti di gusto.
Le prime due tonalità, vale a dire il grigio ed il beige, sono disponibili quasi dovunque, mentre gli altri colori, pur in assenza di vere e proprie esclusive nazionali, sono presenti in un numero relativamente limitato di Paesi produttori. Ad esempio, il bianco vanta le maggiori concentrazioni in Italia, Grecia e Turchia; il rosa è risorsa tradizionale del Portogallo; il nero vede una buona preminenza del Sudafrica. Dal canto loro, azzurri, marroni e verdi sono reperibili in una schiera piuttosto ristretta di Paesi, con particolare riguardo, rispettivamente, a Brasile, Finlandia, India (ed alla Cina, che con le sue migliaia di cave può gestire un’offerta globale molto articolata). Per quanto riguarda più specificamente il granito, va aggiunto che la sua valorizzazione è stata indotta, in diversi casi, dalla possibilità di immettere sul mercato quantità industrialmente rilevanti di colori forti, fermo restando che anche in campo siliceo le produzioni più ricorrenti restano quelle di materiali a pigmentazione tenue.
Concludendo, è da sottolineare come la vasta gamma di colori che caratterizza la produzione lapidea mondiale costituisca un ulteriore punto di obiettivo vantaggio nei confronti della concorrenza, che non può vantare un ventaglio cromatico di ampiezza simile, anche a prescindere dai tentativi d’imitazione. Il colore, in buona sostanza, è un’opportunità selettiva offerta direttamente dalla natura agli utilizzatori del marmo e della pietra, e quindi, un fattore di successo da tutelare e valorizzare.

motivazioni dell’impiego lapideo Tecnologia, economia e funzionalità di marmi e pietre

La ricerca di mercato ha posto in evidenza la correlazione esistente fra l’uso dei beni, in specie di largo consumo, e le motivazioni, tanto sociologiche quanto psicologiche, da cui traggono origine la percezione del bisogno, e quindi la decisione d’acquisto. Sia pure con le approssimazioni e le distinzioni del caso, il fenomeno si manifesta anche nei beni industriali, sebbene la necessità del loro approvvigionamento prescinda, in linea generale, da quel tipo di interferenze: nel costruire una casa di civile abitazione si dovrà prevedere sempre la posa di un pavimento o di un rivestimento, ma la scelta del marmo, piuttosto che della ceramica, del legno, ovvero di altro materiale, dipenderà da vari fattori, tra cui quello economico può essere prevalente, ma non unico.
Considerazioni analoghe valgono nell’ambito del solo impiego lapideo, dove la gamma delle varietà opzionabili è praticamente infinita, sia dal punto di vista tecnologico (i caratteri dei materiali cambiano sensibilmente da una pietra all’altra: è inutile ricordare che la resistenza del tufo non è confrontabile con quella del granito, ma anche dell’ardesia o della trachite) sia da quello estetico, caratterizzato da un’offerta illimitata (nel mondo, secondo recenti valutazioni, esistono almeno 25 mila tipologie, che coprono tutte le sfumature della scala cromatica).
Detto questo, è facile comprendere che alla base del consumo lapideo si collocano fattori imprescindibili come quelli economici, tecnologici ed estetici, la cui combinazione ottimale richiede valutazioni attente, in primo luogo alla luce del tipo di commessa (il pavimento di una stazione ferroviaria ha esigenze del tutto diverse da quelle di un salotto). Nondimeno, in molte occasioni, specialmente nel momento privato, entrano in giuoco valutazioni complementari che possono fare la differenza.
In tempi relativamente recenti, marmi e pietre hanno costituito un simbolo sociale collegato all’immagine di prestigio selettivo che il loro impiego intendeva evocare, e che non è difficile cogliere ancor oggi in alcune commesse di fascia superiore, con particolare riguardo a quelle di rappresentanza. Nel nuovo millennio, questo fattore è passato comunque in secondo ordine, ed ha ceduto il campo alla funzionalità: se è vero che la maggioranza dei piani da cucina e di quelli da bagno viene realizzata in marmo o pietra, con una vasta gamma di alternative cromatiche ed economiche, vuol dire che l’idoneità del prodotto lapideo a questo tipo d’impiego è condivisa da una schiera sempre più vasta di progettisti, non solo per motivi estetici senza dubbio importanti, ma prima ancora per la capacità di soddisfare in maniera ottimale le esigenze dell’utilizzatore.
Ne consegue che la promozione del manufatto, a cui si guarda con interesse sempre più vivace da parte del momento produttivo, deve tenere conto dei fattori motivazionali, che cambiano da un impiego all’altro e che presumono una ragionevole duttilità del messaggio, in modo da sottolineare le idoneità peculiari del materiale all’una od all’altra tipologia di utilizzo. Naturalmente, esiste un minimo comune denominatore che è sempre valido per tutti gli impieghi e che si riassume nella documentazione delle competitività fisico-meccanica e fisico-chimica del lapideo, ma al quale conviene fornire congrui arricchimenti, finalizzati alle diverse opportunità di commercializzazione: è banale sottolineare che la promozione destinata all’edilizia civile non può applicarsi “tout court” alla funeraria, come dimostrano le specializzazioni differenziate, talvolta riscontrabili anche nelle fiere.
Una cosa è certa: il marmo e la pietra non vengono impiegati per capriccio né tanto meno per caso, ma rispondono ad un ampio ventaglio di richieste del progettista, dell’impresa e del cliente che è compito del fornitore omogeneizzare, selezionare e soddisfare, previo approfondimento dei fattori motivazionali che sorreggono la scelta, e quindi l’ordine. Ciò, non soltanto da un punto di vista strettamente commerciale finalizzato alla sua acquisizione, ma nello stesso tempo, alla luce della necessità di soddisfare pienamente le attese di chi sceglie, in modo da creare un ulteriore effetto promozionale a costo zero, fondato sul consolidato principio pubblicitario di iterazione dei comportamenti.

marmi e pietre dell’Italia nord-orientale: Ruolo e prospettive della risorsa lapidea in Friuli-Venezia Giulia

La Scalata foto di Paula Elias

Un recente dibattito a proposito dei marmi del Carso, con tanto di aspetti occupazionali ed ambientali, e delle odierne attese economiche di un settore dalle tradizioni millenarie, hanno richiamato l’attenzione sulle sorti di un’attività tuttora importante per la Regione Friuli-Venezia Giulia, ma troppo spesso dimenticata, tanto da risultare in forte controtendenza rispetto alla dinamica mondiale, ed in flessione piuttosto significativa anche nel ragguaglio italiano.
Eppure, le sue esclusive sono di consolidata fama internazionale, a cominciare dalle tante varietà della Pietra di Aurisina, estratta sin dall’epoca romana ed utilizzata, fra l’altro, nei grandi lavori austriaci ed ungheresi dell’età asburgica, ma anche in opere nazionali importanti come le stazioni di Milano e Tarvisio ed il Tempio Voltiano di Como. Lo stesso dicasi per il Fior di Pesco di Forni Avoltri, che ha trovato posto in tante prestigiose commesse italiane ed estere, a cominciare dalla stazione di Firenze e dall’Empire State Building, o per altre pietre friulane di buona consistenza quanto a riserve, e di tecnologia competitiva, ma di estrazione limitata se non anche sospesa, quali Ceppo norico, Grigio carnico, Nero del Vallone, Pietra piasentina, Rosso Ramello (un materiale nel cui bacino dell’Alto Vajont fu giovane cavatore Mauro Corona, che in alcuni suoi libri vi ha dedicato pagine assai suggestive).
Le tradizioni del Friuli-Venezia Giulia sono importanti anche dal punto di vista professionale. Basti pensare a quelle musive, che hanno trovato nuovi motivi di apprezzamento e di successo grazie all’Istituto del Mosaico di Spilimbergo, unico nel suo genere: infatti, la Scuola ospita allievi che provengono da tutti i continenti, e persegue risultati di notevole significato economico, felicemente coniugati con quelli estetici, costituendo un fiore all’occhiello dell’Italia lapidea, sebbene non molto conosciuto.
Avuto riguardo alle dimensioni del mercato internazionale ed alle risorse disponibili in Regione, sarebbe auspicabile che marmi e pietre locali possano fruire di attenzioni che ne consentano un rilancio conforme alle potenzialità: ciò, sia dal punto di vista delle politiche estrattive, oggetto di troppi vincoli operativi, sia sul piano della promozione industriale e distributiva, dove gli incentivi istituzionali sono andati progressivamente in desuetudine.
La critica relativa alla costante emorragia occupazionale che va compromettendo un patrimonio irripetibile è certamente da condividere, perché nel settore lapideo tecnologia e tradizione si traducono in apporti fondamentali di forza lavoro. Tuttavia, non serve lamentare il progressivo disimpegno della manodopera giovanile, oggetto di recenti richiami, in quanto trattasi di un effetto e non di una causa. Serve, invece, sensibilizzare la volontà politica in termini aggiornati e sottolineare il contributo che marmi e pietre possono portare, sostanzialmente dovunque, ad uno sviluppo non effimero.

Export mondiale: chi sale e chi scende. Una congiuntura a macchia di leopardo

Il rapporto 2016 (Foto MarmoNews)

L’interscambio lapideo mondiale, dopo la notevole battuta d’arresto del 2015, ha ripreso a crescere, sia pure con notevoli vischiosità, e nel 2016 ha messo a segno una crescita complessiva dello 0,9 per cento, portandosi a 53,5 milioni di tonnellate, al netto dei sottoprodotti. Si tratta di un risultato positivo, laddove sia visto nell’ottica di una congiuntura difficile anche per i materiali concorrenti, ma non si deve dimenticare che è stato conseguito a fronte di una flessione contestuale dei ricavi pari al sette per cento, con un calo del giro d’affari superiore al miliardo e mezzo di dollari.
Nell’ambito degli otto maggiori protagonisti, che hanno contribuito all’export mondiale con uno “share” di almeno un punto, e che hanno ascritto il 70,6 per cento delle spedizioni globali, quattro hanno progredito, mentre altri quattro hanno visto ridurre le proprie quote. Il primo gruppo comprende India (+ 12.3), Brasile (+ 5.3), Grecia (+ 1.7) e Turchia (+ 1.6) mentre nel secondo trovano posto Portogallo (- 4.2), Spagna (- 6.7), Italia (- 7.3) e Cina (- 9.1). Quest’ultimo Paese mantiene il primato dell’export in cifra assoluta, grazie al forte vantaggio precedente, esprimendo tuttora il 21,6 per cento del totale, ed avendo fatturato 11,6 miliardi di dollari, ma il suo vantaggio sull’India si è dimezzato, riducendosi a poco più di tre punti.
Nella graduatoria degli otto Paesi leader, il 2016 ha visto il sorpasso del Brasile, salito al quinto posto assoluto ai danni della Spagna, mentre la Turchia ha consolidato il terzo posto, con uno “share” del 12,4 per cento. E’ da notare che i primi tre esportatori hanno assommato, da soli, il 52,3 per cento delle spedizioni mondiali, confermando una leadership che consente, in larga misura, un sostanziale controllo quantitativo dei mercati.
L’Italia, dal canto suo, ha confermato un trend discendente di lungo periodo, conservando il quarto posto ma perdendo un ulteriore mezzo punto nella quota di mercato mondiale, scesa al 5,2 per cento, ed ascrivendo una decrescita percentuale che risulta inferiore soltanto a quella della Cina. Va peraltro soggiunto che nel suo export del prodotto finito, struttura portante dell’export italiano, la quotazione media si continua a porre ai vertici mondiali, con un prezzo di oltre 68 dollari per metro quadrato equivalente (allo spessore convenzionale di cm. 2), che risulta quasi doppio rispetto a quello planetario.
Il panorama complesso del lapideo italiano, che cede anche nella graduatoria produttiva, dove si colloca al sesto posto con il 4,3 per cento dei volumi estratti nel mondo (dietro Cina, India, Turchia, Brasile ed Iran), trova completamento anche nell’import, pressochè dimezzato nel lungo periodo, con un consuntivo per il 2016 sceso a poco più di un milione di tonnellate: anche in questo caso, al sesto posto mondiale. Poiché l’import dell’Italia risulta costituito in larga maggioranza da grezzi, ne consegue la conferma di una tendenza al ribasso anche per quanto si riferisce alle attività trasformatrici nazionali.
Le conclamate esigenze di maggiori attenzioni per il settore lapideo italiano e per la sua notevole importanza socio-economica, in specie nei tradizionali distretti leader, ne traggono motivi di ulteriore ed evidente validità, assieme a quelle di adeguati interventi in campo infrastrutturale, finanziario, professionale, e naturalmente, nel sistema di promozione.

Marmi e pietre d’Italia: Patrimonio storico ed opportunità di crescita

Foto Ennevi

Sia pure in una strategia difensiva, il comparto lapideo italiano è sempre sulla cresta dell’onda: ciò, nonostante il regresso della produzione e dell’export in atto da tempo, ed il progressivo abbassamento della quota di mercato mondiale. Del resto, tale congiuntura non riguarda soltanto marmi e pietre, ma si estende all’intero sistema Paese, considerato nel suo complesso.
La forza reattiva del settore, dovuta alla professionalità, alla tecnologia ed alla tradizione, consente all’Italia di conservare importanti nicchie di mercato, con particolare riguardo ai materiali tipici, alle zone estrattive e trasformatrici più avanzate, ed alle capacità d’investimento delle aziende leader, che peraltro costituiscono una quota molto ristretta del totale, la cui maggioranza è costituita da piccole imprese con dimensioni spesso artigianali.
In buona sostanza, la strategia generale sembra essere quella di una tutela dell’esistente, a caratura generalmente conservatrice. Nonostante le promesse politiche di lungo periodo, gli impegni associativi, le istanze sindacali ed i riconoscimenti della committenza qualificata, è mancato un disegno promozionale organico, e molte risorse del comparto sono rimaste prive di valorizzazione, andando ad accrescere la lunga serie delle occasioni perdute.
Marmi e pietre d’Italia esprimono riserve diffuse su tutto il territorio nazionale, con almeno duemila punti di cava, compresi quelli in cui l’attività estrattiva, un tempo di qualche rilievo, è tristemente chiusa, ma in cui è sempre in grado di riprendere: da questo punto di vista, il comparto possiede un grado piuttosto alto di elasticità, che è precluso ad altri settori industriali, anche contigui. La letteratura tecnica attesta l’assunto in modo esaustivo: per citare soltanto le fonti essenziali, basti ricordare la grande opera di Paul Dumon sui materiali (Givors, 1973) ed il “Manuale dei Marmi Pietre e Graniti” in tre volumi (Milano, 1983).
Si tratta di opere che conservano piena attualità e costituiscono un memento alla volontà politica, ed a quella imprenditoriale, nel senso che dimostrano l’esistenza di tante opportunità, al momento “in sonno” a causa delle difficoltà di mercato, ma non certo dell’idoneità tecnologica e cromatica dei materiali, a supportare iniziative di sviluppo, sia pure a livello comprensoriale o regionale. Con una disoccupazione alle stelle, soprattutto nell’ambito giovanile, marmi e pietre offrono occasioni da valutare attentamente nelle sedi competenti; ad esempio, anche nelle zone recentemente terremotate di Marche, Umbria, Abruzzi e Lazio, che posseggono riserve accertate oggetto di attività storiche spesso apprezzabili.
Dal canto suo, anche la nomenclatura esprime riferimenti lapidei a dir poco affascinanti. Stante l’impossibilità di citare almeno duemila materiali, oltre alla necessità di non fare torti a chicchessia, e fermo restando che le riserve in parola appartengono a tutte le Regioni, comprese quelle di minore incidenza nel panorama settoriale produttivo e distributivo, piace ricordare, a titolo di esempio, almeno l’Unghia di Venere (Montalcino), che “ha trovato impiego d’eccezione, per effetti architettonici e cromatici esaltati dalla trasparenza, nella Basilica di Sant’Antimo” (Manuale dei Marmi Pietre e Graniti, vol. II, pag. 75), in agro di Csatelnuovo dell’Abate (Siena).
E’ inutile aggiungere che le riserve dalle potenzialità specifiche non riguardano soltanto il marmo, ma anche gli altri lapidei: sempre a titolo esemplificativo, si ricordino l’Alabastro di Latronico (Potenza) od il Granito dell’Isola del Giglio che, come rammenta la medesima fonte, ebbe “applicazioni d’eccezione come quelle nella Chiesa di Santa Croce in Gerusalemme ed in quella di San Crisostomo in Trastevere”.

Sia chiaro: questi spunti di riflessione non intendono costituire una divagazione culturale, sia pure suggestiva, ma vogliono esprimere un orientamento circa opportunità future, con riguardo prioritario a quelle collegate ad una ripresa del mercato interno tanto più auspicabile alla luce del nuovo vento protezionista che ha preso a spirare con forte impeto, a cominciare da quello su mercati importanti, se non addirittura decisivi per l’export lapideo italiano, come gli Stati Uniti d’America e la Gran Bretagna.
Esiste una correlazione importante fra il patrimonio storico e le opportunità di crescita che in ogni caso è bene mettere a fuoco: le nuove difficoltà del mercato globale implicano un nuovo bisogno di programmazione intelligente, lontana dalle dannose suggestioni della demagogia e della passerella politica, ma rivolta – secondo ragione e convenienza – allo sviluppo del bene comune.

Marmi e pietre nel mondo: Produzione, consumi e redditività in crescita globale

E’ stato rilevato in parecchie occasioni ufficiali come l’idoneità del settore lapideo a promuovere politiche di sviluppo dove ad altri non sarebbe strutturalmente possibile, sia fuori discussione, e come abbia acquisito alti riconoscimenti nelle sedi più qualificate, a cominciare dall’Organizzazione delle Nazioni Unite con la nota Dichiarazione del 1976. In precedenza, il IX Congresso dell’industria marmifera europea aveva già attirato l’attenzione dei Governi nazionali e regionali sul ruolo trainante della pietra anche in chiave sociale, auspicando l’adozione di opportuni incentivi capaci di valorizzare tale opportunità, ed aveva costituito la Federazione internazionale del settore (oggi Euroroc) con lo scopo di promuovere uno sviluppo più organico del comparto (1964).

 

Oramai, diversi Paesi hanno riconosciuto il ruolo strategico di marmi e pietre ed aggiornato la propria legislazione per quanto di conseguenza, inquadrando i prodotti lapidei nell’ambito dei materiali minerari di prima categoria. Ne sono scaturiti parecchi risultati economici e sociali di buona consistenza, soprattutto dal punto di vista delle crescite occupazionali, degli investimenti e del valore aggiunto. In ogni caso, sono parecchi i Paesi in cui la volontà politica nazionale ha preso atto del rilievo di marmi e pietre nell’ambito della programmazione, anche fra quelli di primaria importanza settoriale, come Brasile, Egitto, India, dove la linea del possibile ha cominciato a spostarsi in avanti, a fronte delle conseguenti opzioni promozionali che stanno diventando punti di riferimento anche per gli altri.

 

Il progresso lapideo è incontestabile, ad iniziare dal gradiente di sviluppo notevolmente superiore a quello dell’economia mondiale considerata nel suo complesso, avendo tratto largo vantaggio dalla diffusione sostanzialmente universale delle riserve, ed in misura altrettanto ampia, dal forte avanzamento tecnologico. Ciò, sebbene la politica di ricerca estrattiva sia tuttora limitata: soltanto in pochi casi la conoscenza del territorio è davvero esauriente, come in alcuni Stati europei, in Arabia Saudita, in altri Paesi del Golfo, in Palestina od in Turchia, facendo presumere che nuove importanti risorse possano essere condotte alla vista e quindi alla coltivazione.

 

In taluni casi, lo sviluppo è stato esponenziale. Del resto, negli ultimi 25 anni la produzione ed i consumi mondiali sono triplicati, mettendo a segno un progresso straordinariamente elevato anche nel campo qualitativo, con particolare riguardo alle lavorazioni speciali. Ciò, senza dire che le valutazioni storiche effettuate a livello scientifico hanno posto in evidenza che il volume dei marmi e delle pietre scavati nel mondo negli ultimi due terzi di secolo é stato superiore a quello di tutte le epoche precedenti, sin dall’antichità più remota. Chi si fosse ostinato a presumere che il settore svolge un ruolo di retroguardia, nel quadro di residue concessioni ad un prestigio retorico ed anacronistico, in qualche misura autoreferenziale, avrebbe commesso un errore macroscopico.

 

Per comprendere quanto siano ampie le odierne dimensioni del settore, basti sottolineare che la produzione mondiale del 2015, al netto degli scarti di cava, è stata pari a 140 milioni di tonnellate, destinate all’interscambio nella misura del 54 per cento. In effetti, il volume del commercio estero settoriale si è ridotto di alcuni punti, ma ciò non ha compromesso la continuità di crescita delle produzioni, sia pure con un tasso più contenuto, perché i mercati domestici hanno sopperito in modo adeguato al rallentamento dell’export, soprattutto nell’ambito extra-europeo, ed anzitutto in Cina.

 

Il progresso indotto dal settore lapideo, a parte quello economico e tecnologico, spazia in un contesto più ampio e nobile, a cominciare dal perseguimento della cosiddetta “qualità totale”. Non è un caso che la progettazione moderna abbia riscoperto gli utilizzi del marmo, del granito e delle altre pietre sia nell’edilizia di rappresentanza, sia in quelle civili ed economiche, grazie a caratteri funzionali ed espressivi di grande competitività, ed alla capacità di offrire manufatti ad altissimo valore aggiunto prodotti serialmente, come negli arredi per il bagno, nei piani da cucina, nelle lavorazioni a massello, in alcuni tipi di oggettistica, e via dicendo.

 

 

 

Vale la pena di ribadire che le economie di durata e di manutenzione sono tali da motivare ampiamente qualche maggiorazione di prezzo, che proprio negli ultimi esercizi ha permesso di ottimizzare i risultati della gestione industriale anche nei Paesi in via di sviluppo: ad esempio, nell’ultimo quinquennio il prezzo medio del manufatto lapideo cinese oggetto di esportazione è raddoppiato, raggiungendo il nuovo massimo di oltre 40 dollari per metro quadrato equivalente nel consuntivo per il 2015, ed ascrivendo un risultato di ovvia utilità anche per quanto riguarda l’autofinanziamento degli investimenti, tanto più importante in una congiuntura di oggettive difficoltà nell’accesso al credito, sia ordinario che agevolato, come quella odierna.

 

Il rapido progresso conseguito nel “modus vivendi” dell’uomo contemporaneo ha trovato un fondamento significativo nella democratizzazione d’impiego dei materiali più selettivi, come marmi e pietre: è un percorso che continua nonostante la scoperta della redditività crescente, perché lo sviluppo tecnologico ha continuato ad esercitare il suo ruolo tradizionale di contenimento dei costi, e quindi dei prezzi, in un ventaglio capace di soddisfare quote maggiori del mercato.

 

Ciò che un tempo era riservato ad una schiera piuttosto ristretta di fruitori ha finito per diventare accessibile ad una clientela più ampia: motivo ulteriore per sottolineare come il consumo medio per abitante, che nel mondo di oggi ammonta ad oltre 240 metri quadrati per mille (riferiti allo spessore convenzionale di cm. 2) con punte massime di oltre un metro pro-capite in Arabia Saudita, Corea del Sud, Belgio e Svizzera, sia destinato ad aumentare, potenziando un trend in ascesa che perdura da molti anni e che ha permesso di raddoppiare la quota del 2001, inferiore ai 120 metri quadrati.

 

L’esame dei parametri essenziali attesta che l’espansione lapidea globale è sempre in atto, come si conviene a materie prime quali marmi e pietre, capaci di esaltare i valori estetici della bellezza ma prima ancora quelli etici, a cominciare dalla pace.

 

Macedonia: Il marmo come strumento di sviluppo

Ad un ventennio dalla propria indipendenza, la Repubblica di Macedonia sorta dalla disintegrazione della ex Jugoslavia ha trovato nel marmo una fonte di reddito apprezzabile, soprattutto nel distretto di Prilep, quarta città del Paese, grazie ai suoi giacimenti del Bianco Sivec: un cristallino compatto, le cui produzioni di prima scelta pongono a disposizione della clientela blocchi, lastre e manufatti di valore monocromatico assoluto, che ne hanno fatto un prodotto particolarmente apprezzato, anche alla luce delle sue riserve oggettivamente limitate.

 

Stante la dimensione modesta del mercato interno, che riguarda un Paese con due milioni di abitanti su un’area pari a 25 mila chilometri quadrati, le fortune del comparto lapideo macedone sono legate soprattutto all’esportazione, che nel 2015 ha interessato spedizioni per 79 mila tonnellate, costituite per nove decimi da grezzi, ed un valore nell’ordine dei 22 milioni di dollari. Possono sembrare cifre di poco conto, ma nel ragguaglio al 2001, quando le vendite all’estero si erano fermate a 30 mila tonnellate ed a cinque milioni di dollari, non si può negare che sia stato conseguito un progresso molto significativo.

 

La Macedonia lapidea non possiede soltanto il Bianco Sivec, ma può contare su altri giacimenti di buon rilievo come quelli in agro di Gostivar. Tuttavia, le caratteristiche tecnologiche e soprattutto cromatiche del Sivec ne hanno fatto il materiale di gran lunga più conosciuto e promozionato, anche nelle manifestazioni fieristiche leader, a cominciare da quella di Verona.

 

Le strutture di trasformazione sono relativamente limitate, ed in prevalenza fanno capo ad investimenti greci, resi attuali e competitivi da un regime fiscale favorevole. Non a caso, la stessa esportazione grezza, struttura portante del settore, interessa proprio la Grecia come primo mercato di sbocco, seguita nell’ordine da Cina, Italia e Turchia: in particolare, nel 2015 le importazioni italiane hanno avuto riguardo a circa seimila tonnellate, pari a nove punti percentuali. Fra le altre destinazioni, quelle con un flusso superiore alle mille tonnellate hanno interessato, sempre nel 2015,  Albania, Serbia e Bulgaria. In sostanza, fatta eccezione per le vendite in Cina, i mercati di maggiore interesse per il marmo macedone sono quelli europei contigui.

 

L’importazione è pervenuta a 26 mila tonnellate, contro le 13 mila del 2001, ed è costituita in buona maggioranza da prodotti finiti, compresi quelli di granito, di cui la Macedonia è priva. In ogni caso, oltre un quarto degli approvvigionamenti esteri sono di grezzi, a conferma di una buona funzionalità delle strutture trasformatrici locali.

 

Allo stato delle cose si può dire che la Macedonia lapidea è identificabile soprattutto nel Bianco Sivec: un materiale che, anche alla luce dei costi contenuti e del regime operativo oggettivamente elastico, costituisce una concorrenza di qualche rilievo per le produzioni altrui, non soltanto apuane, ma anche turche ed elleniche, e ripropone, soprattutto in Italia, l’esigenza di adeguate iniziative a tutela dei suoi prodotti esclusivi.

 

Europa lapidea: un bilancio in chiaroscuro, ombre maggiori nel consuntivo italiano

rapporto 2016Nel mondo del marmo e della pietra, il 2015 verrà ricordato a lungo come un anno difficile, e per taluni aspetti contraddittorio, caratterizzato da un brusco regresso dell’interscambio quantitativo dopo decenni di sviluppo talvolta impetuoso (con la sola eccezione del 2009) ma nello stesso tempo, da una notevole accelerazione del valore medio per unità di prodotto, e quindi da un aumento della redditività, nei limiti consentiti dall’andamento dei costi.
L’Europa dei Ventotto non ha fatto eccezione, con alcune importanti riduzioni delle vendite estere in volume, come è accaduto in Italia, Portogallo, Spagna e Finlandia, ma il suo bilancio complessivo è stato meno pesante del previsto: infatti, Belgio, Francia, Germania e Polonia hanno chiuso il rispettivo export in crescita talvolta significativa, senza dire della Grecia, anch’essa in aumento, sia pure più contenuto, quasi a sottolineare il possibile ruolo anticiclico del marmo.
L’Italia ha fatto registrare un decremento delle quantità spedite all’estero, al netto dei sottoprodotti, nella misura di circa 100 mila tonnellate. pari al 2,7 per cento, ascrivendo un calo di 18 punti nei confronti del massimo storico raggiunto nel 2000, quando furono esportati oltre 3,6 milioni di tonnellate del prodotto lapideo. Nel raffronto di breve periodo rispetto al 2014, soltanto in Spagna si è avuta una flessione maggiore, nell’ordine delle 150 mila tonnellate.
Il calo italiano è dovuto soprattutto ai grezzi, mentre il prodotto finito ha confermato il consuntivo dell’anno precedente, dimostrando che la difesa del valore aggiunto, nella media, è riuscita a circoscrivere gli effetti della congiuntura critica. Assai più pesante è stato il bilancio dell’import, che negli ultimi nove anni ha chiuso sette volte in regresso, con un decremento di due terzi rispetto al massimo del 2006 ed una flessione di cinque punti nei confronti del 2014: una fotografia quasi impietosa delle condizioni in cui versa il mercato interno.
La quota dell’esportazione italiana sul totale europeo è stata pari al 27,5 per cento, mentre quella dell’import si è ridotta al 12,3: in entrambi i casi, con perdite ponderali significative, sia nel breve che nel lungo periodo. In altri termini, nonostante la pausa ascritta dalle spedizioni all’estero di Paesi leader quali Cina, Turchia e Brasile, la tendenza riflessiva del lapideo italiano non ha espresso soluzioni di continuità, perdendo un punto anche nello “share” mondiale, dove è scesa al 9,8 per cento, e collocandosi per la prima volta sotto la soglia psicologica di quota dieci. Quando si pensi che nel 2001 la quota di mercato era ancora del 30 per cento, le conclusioni sono facili.

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A dispetto di questo bilancio, la leadership dell’industria lapidea europea è rimasta in mano all’Italia, che occupa sempre il primo posto nella graduatoria dell’export ed il terzo in quello dell’import, dopo Germania e Francia (nel mercato tedesco gli acquisti di marmo e pietre hanno ascritto un calo ragguardevole, diversamente da quanto è accaduto su quello francese, in ripresa altrettanto apprezzabile).
Nell’Europa dei Ventotto il bilancio complessivo resta non facile, ma esprime una discreta competitività di fondo anche nel raffronto coi maggiori materiali alternativi, che conferma le quote di mercato nonostante la concorrenza “ingannevole” praticata da certi materiali ceramici, e ribadisce il tradizionale apprezzamento per la qualità e per i valori funzionali ed estetici del prodotto di natura, corroborati dalle alte doti di professionalità e di “know how” tipiche del lapideo.
Il momento, soprattutto in Italia, è oggettivamente complesso, ma i punti di forza sono tuttora vitali, sottolineando che esiste una reale potenzialità di ripresa attraverso il ruolo trainante della creatività e della fantasia che restano un ottimo strumento anticiclico anche nella congiuntura odierna. Basta metterli a frutto con una matura consapevolezza critica ed una reale capacità di investire, in un clima di fiducia il cui recupero compete soprattutto alla volontà politica.

Marmi e pietre in Italia: Occupazione e redditività nelle Aziende leader del settore lapideo

CanalgrandeAl pari di quanto accade nel resto del mondo lapideo, dove la flessione dell’interscambio globale non ha impedito una significativa crescita della redditività, particolarmente accentuata in Cina, i risultati delle maggiori Aziende italiane, quali emergono dai bilanci per il 2014, evidenziano la permanenza di una gestione positiva, tanto più importante in un sistema produttivo e distributivo caratterizzato da troppi vincoli, a cominciare da quelli finanziari ed ambientali.
Un campione relativo alle prime nove Aziende del settore in termini di fatturato (quattro del comprensorio apuano, tre venete, e due centro-meridionali), consente di verificare che nell’esercizio in parola il volume d’affari ha raggiunto i 334 milioni di euro, con un utile dichiarato nell’ordine dei 18,6 milioni, pari al 5,6 per cento. Quanto all’occupazione, l’aggregato delle suddette Società leader poteva contare su 810 addetti, con un fatturato pro-capite di 413 mila euro, ed un utile di 23 mila.
A parte la scarsa incidenza del campione sul livello occupazionale complessivo del comparto lapideo italiano, che ne conferma la storica parcellizzazione in un ampio coacervo di piccole unità produttive (le Aziende con almeno cento dipendenti in organico risultano soltanto quattro), è facile constatare che nei confronti dell’industria marmifera mondiale il ruolo dell’Italia appare quello di un Paese ulteriormente limitato, in primo luogo nella capacità di partecipare all’espansione avutasi negli ultimi 25 anni, con le sole eccezioni del 2009, ed appunto, del 2015.
Un’altra considerazione importante riguarda il fattore umano: tenuto conto dell’orario di lavoro vigente in Italia, è facile rilevare che ad ogni ora di prestazione professionale hanno corrisposto, sempre nel 2014, un fatturato di circa 270 euro ed un utile di 15: cifre da meditare tanto in sede imprenditoriale quanto in quella sindacale, e prima ancora in quella politica, perché confermano la scarsa competitività del settore, sia in assoluto, sia in rapporto alle altre attività produttive italiane, ad iniziare da quelle riguardanti i comparti contigui.
In tutta sintesi, l’analisi dei risultati di bilancio conseguiti dalle Aziende maggiori, pur dando atto di un equilibrio gestionale che riesce a coniugarsi con l’esistenza di tante strozzature, in primo luogo fiscali e creditizie, dimostra che gli spazi per una moderna politica di investimenti restano oggettivamente ristretti in un sistema che, alla luce della politica bancaria attuale, finisce per dover contare soprattutto sull’autofinanziamento. Va aggiunto che i consuntivi delle Aziende di minore dimensione non possono presumersi ragionevolmente migliori di quelli del campione.
Concludendo, pur nell’apprezzamento per consuntivi che hanno confermato la permanente capacità delle imprese di affrontare la congiuntura con le necessarie attenzioni e con la tradizionale diligenza del buon padre di famiglia, bisogna ammettere che i margini per uno sviluppo conforme alle potenzialità dei mercati esteri, visto che quello interno continua a soffrire per un ristagno edilizio senza pari nel mondo, sono oggettivamente limitati; e che senza un intervento consapevole della volontà politica, più volte invocato, non si andrà troppo lontano.

presentazione del XXVII Rapporto lapideo mondiale: spunti di riflessione ed auspici di sviluppo

presentazione rapportoIl comparto lapideo mondiale, pur nell’ambito di un trend in costante ascesa, ha fatto registrare nel 2015 una significativa contrazione dell’interscambio quantitativo, cui ha fatto riscontro la buona tenuta dei mercati domestici, che ha consentito un ulteriore incremento dei volumi produttivi, sia pure marginale. Nondimeno, il fatto saliente ascritto dalla congiuntura internazionale è stato un forte aumento della redditività, in specie nei Paesi extra-europei protagonisti, ed in particolare in Cina, che ormai esprime un terzo della produzione mondiale ed un quarto dell’export.

 

Tali valutazioni costituiscono una componente significativa del nuovo Rapporto lapideo mondiale, giunto alla ventisettesima edizione, e presentato alla Fiera di Verona  ad iniziativa dell’Autore Carlo Montani e della Casa di Edizioni Aldus, nell’ambito di una tradizione ormai consolidata.

 

A conferma dell’interesse suscitato da uno strumento di grande importanza professionale come il Rapporto, anche quest’anno la conferenza scaligera si è distinta per un buon concorso di pubblico e per il livello del dibattito, alla presenza di operatori, giornalisti ed “opinion makers” provenienti da vari Paesi di significativa rilevanza lapidea (Brasile, Germania, Grecia, India, Polonia, Russia, Taiwan).

 

Nella prolusione del Dr. Valsecchi (Direttore Commerciale di Veronafiere), che ha portato il saluto del Presidente Danese ed illustrato i  nuovi primati della manifestazione, sia a livello di espositori (oltre 1650, con un aumento di dieci punti rispetto all’edizione precedente), sia nell’ambito dei Paesi presenti (con alcune “new entries” di notevole valenza settoriale come l’Angola ed i rientri altrettanto ragguardevoli di Afghanistan e Indonesia), si è dato atto del ruolo formativo ed informativo del Rapporto, la cui presentazione, ormai da tanti anni, figura nel programma ufficiale di Marmomacc.

 

Il Prof. Vikram (Stone Technology Center, Jaipur) ha posto in evidenza i problemi per gli operatori indiani, rivenienti da una soverchia liberalizzazione dell’import di materiale grezzo, pur nell’ambito di una politica internazionale rivolta alla promozione degli scambi, ed ha insistito sulle conseguenze negative di talune strategie imprenditoriali fondate ancor oggi sul prezzo contenuto, anziché su una ragionevole crescita della produttività, in specie per i semilavorati ed i prodotti finiti. Infine, ha illustrato motivate preoccupazioni circa la concorrenza “ingannevole” della ceramica e della cosiddetta pietra artificiale.

 

Da parte del Dr. Lo Balbo (Fillea – Cgil, Roma), è giunta la conferma che il nuovo contratto nazionale di lavoro è una realtà: il documento ufficiale verrà firmato a Milano il 5 ottobre, e sarà valido sino al 2019.  La trattativa è stata lunga e difficile, ma corretta, con innovazioni importanti non solo nella componente salariale, ma anche in quella normativa, con particolare riguardo alla sicurezza, il cui adeguamento è diventato un’esigenza stringente, alla luce di un tasso infortunistico inaccettabile: non si può pensare che le norme vigenti siano sostanzialmente sfornite di sanzioni, e che il settore non sia governato da una legge quadro moderna e funzionale, idonea a superare i limiti naturali di quella del 1927, tuttora in essere.

 

Il collasso edilizio italiano, le pregiudiziali di un fondamentalismo ecologista assai pervicace, le carenze culturali di taluni imprenditori, e la permanente classificazione dei lapidei come materiali di seconda categoria, si collocano (a giudizio del geologo Dr. Mancini, Seravezza) fra i motivi salienti della crisi italiana, elisa solo parzialmente da una vocazione esportatrice in ulteriore aumento. Di qui, la necessità di  aggiornamenti normativi ormai indispensabili.

 

 

 

 

In sintonia con gli interventi di cui sopra, il prof. Careddu (Università degli Studi, Dipartimento di Arte Mineraria, Cagliari), dopo avere rammentato la situazione critica in cui versa il comparto lapideo sardo, ma anche la considerevole espansione di quello calcareo, con specifico riguardo al distretto produttivo di Orosei, ha confermato la necessità di una volontà politica capace di comprendere il ruolo strategico del settore, conforme a quanto accade in diversi altri Paesi, anche si seconda fascia. In assenza di questa volontà, il futuro dell’Italia non sembra capace di recuperare un ruolo protagonista.

 

Non si debbono dimenticare, nell’ottica di una valorizzazione del settore a tutto campo, i valori culturali del marmo e della pietra, che gli assicurano la continuità di tradizioni storiche millenarie, indisponibili in altri comparti contigui. Ecco un assunto su cui ha insistito l’Arch. Camaiora (Carrara), non senza sottolineare l’importanza determinante del valore aggiunto nell’economia lapidea, oltre a quella di una compatibilità ambientale competitiva e di una certificazione tecnologica che esalta l’idoneità all’impiego, naturalmente differenziato, di ogni pietra.

 

Adesioni di rilievo sono state formulate dalla Dr.ssa Judy Wen (Taiwan), dal Dr. Becker (Stone Ideas, Berlino) e dalla Dr.ssa Magda Konstantinidou (Stone Group International, Thessaloniki): quest’ultima, anche in riferimento alle specifiche attenzioni che nel Rapporto sono state attirate sull’idoneità del marmo ad esercitare una buona azione anticiclica nei Paesi condizionati da una congiuntura economica sfavorevole.

 

Il Dr. Canali (Aldus, Carrara), quale Editore del Rapporto a far tempo dal 2010, quando la crisi della finanza internazionale parve indurre prospettive di segno negativo anche nel campo della carta stampata, ed in particolare dell’editoria tecnica, ha sottolineato che il problema non è esistito e non esiste, quando la qualità del prodotto sia conforme alle attese del mercato, come nel caso di specie. Non a caso, il Rapporto è ulteriormente cresciuto, con 110 Paesi monitorati (pari ad oltre nove decimi della produzione lapidea mondiale), e nell’ultimo triennio, con un allegato di grande rilievo monografico e specialistico come il “Dossier Brasile” trilingue, dovuto alla fattiva collaborazione di Abirochas.

 

Nelle conclusioni, l’Autore, dopo avere espresso un rinnovato ringraziamento alla Fiera di Verona, massima protagonista della promozione mondiale di settore, ha posto in ulteriore evidenza come la congiuntura del 2015 si sia  distinta, molto più delle precedenti, per la notevole crescita della redditività, cosa che presume un’ipotesi di conseguente impulso agli investimenti, e quindi, ad un rinnovato sviluppo conforme alle grandi opportunità proposte dai mercati, ed ai valori tecnici, estetici e culturali, tipiche esclusive del marmo e della pietra; ciò, senza trascurare la disponibilità di una tecnologia d’eccellenza come quella italiana, leader mondiale per produzione ed export, che assicura ad ogni committente parametri sempre più avanzati di rendimento, qualità e sicurezza.

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