Lapideo e Cina: un primato relativo

Per molti anni, la dinamica dell’interscambio lapideo era stata tale da indurre la facile presunzione di una “leadership” sostanzialmente inattaccabile, ma l’evoluzione del mercato mondiale è stata tanto rapida da imporre la revisione di questo assunto: nel 2017, l’export cinese ha fatto registrare un’ulteriore riduzione che si è aggiunta a quella degli anni precedenti, tanto da perdere due milioni di tonnellate nel ragguaglio triennale, e contestualmente, quasi due miliardi di dollari. Sul piano dei volumi, si è dovuto registrare il sorpasso da parte dell’India, dovuto alla crescita davvero impetuosa del suo export di granito grezzo; alla Cina resta un ampio primato sul piano del corrispettivo in valuta, ma la competizione è nuovamente aperta.

Meno critica risulta la tendenza dell’import, dove gli acquisti cinesi, in larga maggioranza di grezzi, hanno recuperato quasi integralmente le flessioni dell’ultimo biennio, sia in quantità che in valore, attestandosi rispettivamente intorno a 14,7 milioni di tonnellate, e due miliardi e mezzo di dollari.

In effetti, produzione e consumi interni sono aumentati in misura superiore all’interscambio, trainando anche gli acquisti dall’estero, che sono diventati più selettivi, soprattutto nei calcarei, inducendo una crescita significativa nel carico delle segherie e dei laboratori locali. Anche per questo, l’esportazione ha segnato il passo, beninteso in senso relativo, con particolare riguardo alla riconsiderazione delle scelte di alta redditività che avevano caratterizzato la congiuntura cinese fino al 2015. In sostanza, sostenere che il comparto lapideo della Cina sia in crisi sarebbe deviante: caso mai, si deve parlare di una domanda interna tuttora esuberante, tanto da condizionare, sia pure in parte minoritaria, le spedizioni all’estero.

Le flessioni più vistose dell’export si sono avute nei grezzi, soprattutto di granito, con spedizioni che nel giro di un triennio hanno ascritto un autentico crollo, pari a quattro quinti del totale, mentre hanno tenuto bene i lavorati, con particolare riguardo a quelli di alto valore aggiunto, peraltro sempre lontani dal massimo storico del 2011, nei cui confronti continua a rilevarsi un decremento non lontano dal milione e mezzo di tonnellate. Del pari, l’indice generale delle spedizioni all’estero di marmi e pietre è sceso a 514 punti, contro i 526 dell’anno precedente ed i 613 del predetto massimo corrispondente. Per quanto riguarda la ripartizione merceologica, ormai sostanzialmente consolidata, la quota complessiva del grezzo si è ridotta al quattro per cento, mentre i prodotti finiti hanno raggiunto quota 96, confermando la vocazione ormai assoluta della Cina per l’export del valore aggiunto.

Nel fatturato estero, l’apporto dei grezzi è sceso a circa 50 milioni e non arriva ad incidere sul totale nemmeno nella misura di un solo punto, mentre nei lavorati, fermo restando il livello di quelli semplici, è da sottolineare il calo degli speciali (cod. 68.02) che è stato superiore al miliardo di dollari, ragguagliandosi al 18 per cento e fermandosi a 5,15 miliardi di dollari. In tutta sintesi, la svolta dell’export lapideo cinese avutasi nell’ultimo biennio ha lasciato il segno soprattutto in valore: alla pressione della domanda interna si è aggiunto il calo di tensione in quella estera, specialmente nell’ambito di alcuni mercati lontani, mentre è stato meno apprezzabile l’apporto della svalutazione monetaria, visto il ben diverso impatto percentuale delle spedizioni in parola.

Il prezzo medio per unità di prodotto, spuntato dagli esportatori cinesi, è cresciuto nel grezzo, peraltro sostanzialmente ininfluente sul bilancio complessivo stanti le basse quantità di blocchi e lastre spediti all’estero, mentre ha evidenziato una caduta quasi verticale nel prodotto finito, dove ha perso quasi sette dollari per metro quadrato equivalente, scendendo a poco più di 30 e contabilizzando un regresso di circa 18 punti, che va ad aggiungersi ai dieci dell’anno precedente. Non si tratta più di una sosta fisiologica, come poteva sembrare all’atto di inversione di un ciclo positivo tradotto in sette aumenti consecutivi con largo raddoppio del prezzo medio ascritto nel 2009; al contrario, si tratta – quanto meno – di un ritorno assai veloce alla vecchia prassi di programmare le destinazioni dell’export con evidenti preferenze per quelle più interessate all’import di materiali correnti.

Tutte le spedizioni di lavorati speciali che vanno per la maggiore hanno dato luogo a decrementi più o meno accentuati con la sola eccezione della Russia ma sul piano dei valori unitari permangono differenze assai ampie, con prezzi massimi spuntati negli Stati Uniti ed in Giappone, mentre i più bassi risultano quelli praticati in Germania, Belgio e Olanda, confermando la paradossale preferenza di questi mercati mitteleuropei per materiali molto economici. Ad un livello appena superiore si sono collocate le vendite cinesi in Corea del Sud, che nonostante il regresso complessivo resta l’emporio leader, con oltre un quarto del fatturato. In ogni caso, il ventaglio delle destinazioni conserva una rilevanza sostanzialmente inimitabile, essendo riferito ad oltre duecento Paesi di tutto il mondo.

Nelle importazioni, attirate dalla crescita dei consumi interni di cui si è detto, e costituite quasi totalmente da materiali grezzi, la preferenza per marmo e travertino ha fatto crescere sensibilmente il vantaggio dei calcarei sui silicei, con incrementi rispettivi nell’ordine dei 500 e dei cento milioni di dollari riportandosi non lontano dal massimo che era stato raggiunto nel 2014, e mettendo in luce un aumento del prezzo medio piuttosto rilevante proprio per i calcarei dove si è ragguagliato al 18 per cento, mentre è fortemente diminuito quello dei lavorati, praticamente dimezzato nel giro di un biennio. Ciò senza dire delle flessioni di lungo periodo, peraltro da interpretare alla luce del carattere elitario che ebbero quelle storiche, di cui ai consuntivi per gli anni novanta quando le attività industriali della Cina erano ancora minime.

Un esame disaggregato dell’import è significativo soltanto per i grezzi: al riguardo, nei calcarei è da porre in risalto il mantenimento della quota turca su livelli decisamente maggioritari, con un nuovo massimo pari ad oltre 950 milioni di dollari ed una crescita in cifra assoluta pari al 40,9 per cento, mentre l’Italia è salita in seconda posizione, con un valore di 185 milioni che risulta quasi raddoppiato ma esprime una quota di poco superiore ai dieci punti . D’altra parte, tutti gli acquisti maggiori effettuati dagli importatori cinesi nel corso del 2017 risultano in aumento, fatta eccezione per le provenienze dal Pakistan.

Invece, in campo siliceo un primato ancora più assoluto è quello dell’India, nuova primatista mondiale dell’export lapideo complessivo e leader altrettanto planetario del granito, le cui vendite alla Cina hanno confermato la copertura di oltre due terzi del totale, seguite a lunga distanza dal Brasile, ed ancora più lontano, dagli altri produttori, ma con cifre appena apprezzabili riferibili ai soli Norvegia e Portogallo. In sintesi, il mercato cinese d’importazione esprime una preferenza spiccata, sul piano calcareo per la Turchia, e nel campo siliceo per l’India, alla stregua certamente prioritaria della competitività economica, ma nello stesso tempo, di un’offerta molto ampia e selezionata di materiali, idonea a soddisfare in modo esaustivo le esigenze del mercato.

Carlo Montani

(Fonte: XXIX Rapporto marmo e pietre nel mondo, Casa di Edizioni Aldus, Carrara 2018)

Successo dell’antidumping ceramico europeo sull’import dalla Cina, marmi e pietre stanno a guardare

La Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea ha pubblicato, in data 23 novembre 2017, il Regolamento della Commissione che proroga i dazi sulle importazioni di piastrelle ceramiche cinesi per un quinquennio, con scadenza al 2022. Il provvedimento, come rileva una nota di Confindustria Ceramica, ha lo scopo di “ripristinare condizioni di corretta competizione sui mercati europei” quali quelle che nel precedente quinquennio hanno dato luogo ad “una riduzione del 77 per cento dell’import dalla Cina”.

Il livello dei dazi in questione oscilla fra il 30,6 ed il 69,7 per cento, confermando le statuizioni precedenti, e contestualmente la persistenza del “dumping” cinese che si aggiunge ad una straordinaria eccedenza della capacità produttiva, “pari a quattro volte la produzione comunitaria”.

La proroga in parola costituisce un indubbio successo della CET (Federazione Ceramica Europea) a fronte del grave danno che sarebbe maturato a carico delle imprese comunitarie qualora le misure vigenti nel precedente periodo di vigenza non fossero state confermate. In tale ottica, è comprensibile che il successo dell’azione antidumping costituisca un fondamentale atto di tutela dell’interscambio “fair” e nello stesso tempo, come ha rilevato Confindustria Ceramica, uno strumento idoneo a promuovere importanti investimenti innovativi nell’impiantistica e nelle tecnologie, “affrontando con maggiore fiducia le crescenti sfide competitive sui mercati internazionali”.

Il confronto col settore lapideo pone in evidenza un’importazione europea dalla Cina che nel 2015 è stata pari a 760 milioni di dollari e 2,3 milioni di tonnellate: cifre costituite in larghissima maggioranza da prodotti finiti, e da quote marginali di grezzi, con un prezzo medio di poco superiore a 18 dollari per metro quadrato equivalente, riferito allo spessore convenzionale di cm. 2. Si tratta, con ogni evidenza, di una forte perdita di valore aggiunto per l’industria europea trasformatrice, e di una quotazione largamente inferiore ai costi di produzione, non soltanto del Vecchio Continente.

In queste condizioni, il meno che si possa auspicare è l’adozione di analoghe misure a tutela dell’Europa, dei suoi materiali e della sua professionalità, essendo palese che siffatte tipologie di concorrenza si ripercuotono innanzi tutto sull’occupazione. Nondimeno, è sconfortante vedere come il comparto lapideo europeo, a cominciare dalla sua Federazione, ancora una volta sia rimasto a guardare, ignorando una questione fondamentale che investe pesantemente i suoi equilibri gestionali, e la conclamata esigenza di equità commerciale, a tutela di un oggettivo interesse comune.