marmi e pietre dell’Italia nord-orientale: Ruolo e prospettive della risorsa lapidea in Friuli-Venezia Giulia

La Scalata foto di Paula Elias

Un recente dibattito a proposito dei marmi del Carso, con tanto di aspetti occupazionali ed ambientali, e delle odierne attese economiche di un settore dalle tradizioni millenarie, hanno richiamato l’attenzione sulle sorti di un’attività tuttora importante per la Regione Friuli-Venezia Giulia, ma troppo spesso dimenticata, tanto da risultare in forte controtendenza rispetto alla dinamica mondiale, ed in flessione piuttosto significativa anche nel ragguaglio italiano.
Eppure, le sue esclusive sono di consolidata fama internazionale, a cominciare dalle tante varietà della Pietra di Aurisina, estratta sin dall’epoca romana ed utilizzata, fra l’altro, nei grandi lavori austriaci ed ungheresi dell’età asburgica, ma anche in opere nazionali importanti come le stazioni di Milano e Tarvisio ed il Tempio Voltiano di Como. Lo stesso dicasi per il Fior di Pesco di Forni Avoltri, che ha trovato posto in tante prestigiose commesse italiane ed estere, a cominciare dalla stazione di Firenze e dall’Empire State Building, o per altre pietre friulane di buona consistenza quanto a riserve, e di tecnologia competitiva, ma di estrazione limitata se non anche sospesa, quali Ceppo norico, Grigio carnico, Nero del Vallone, Pietra piasentina, Rosso Ramello (un materiale nel cui bacino dell’Alto Vajont fu giovane cavatore Mauro Corona, che in alcuni suoi libri vi ha dedicato pagine assai suggestive).
Le tradizioni del Friuli-Venezia Giulia sono importanti anche dal punto di vista professionale. Basti pensare a quelle musive, che hanno trovato nuovi motivi di apprezzamento e di successo grazie all’Istituto del Mosaico di Spilimbergo, unico nel suo genere: infatti, la Scuola ospita allievi che provengono da tutti i continenti, e persegue risultati di notevole significato economico, felicemente coniugati con quelli estetici, costituendo un fiore all’occhiello dell’Italia lapidea, sebbene non molto conosciuto.
Avuto riguardo alle dimensioni del mercato internazionale ed alle risorse disponibili in Regione, sarebbe auspicabile che marmi e pietre locali possano fruire di attenzioni che ne consentano un rilancio conforme alle potenzialità: ciò, sia dal punto di vista delle politiche estrattive, oggetto di troppi vincoli operativi, sia sul piano della promozione industriale e distributiva, dove gli incentivi istituzionali sono andati progressivamente in desuetudine.
La critica relativa alla costante emorragia occupazionale che va compromettendo un patrimonio irripetibile è certamente da condividere, perché nel settore lapideo tecnologia e tradizione si traducono in apporti fondamentali di forza lavoro. Tuttavia, non serve lamentare il progressivo disimpegno della manodopera giovanile, oggetto di recenti richiami, in quanto trattasi di un effetto e non di una causa. Serve, invece, sensibilizzare la volontà politica in termini aggiornati e sottolineare il contributo che marmi e pietre possono portare, sostanzialmente dovunque, ad uno sviluppo non effimero.