Marmo e pietre: un trentennio di mutazioni strategiche

(Foto Ennevi)

Il Rapporto sul settore lapideo nel mondo – comprensivo del suo indotto – che nel 2019 giunge alla

trentesima edizione, consente di fare il punto sulla congiuntura sempre difficile, e nello stesso
tempo, sulle modificazioni strutturali intervenute in misura accelerata e profondamente innovativa
rispetto alle precedenti vischiosità, cambiando i vecchi rapporti di forza con escursioni di grande
ampiezza, spesso irreversibili. E’ consuetudine valutare i dati nell’ambito del breve periodo, ma
l’analisi di lungo termine assume importanza decisiva nel quadro di un esame politico-economico
del comparto, della sua storia e delle sue prospettive: compito prioritario del Rapporto di prossima
presentazione.
Rispetto ai tempi della prima edizione (1990) la produzione mondiale in volume è aumentata di
oltre quattro volte, alla luce di una domanda di qualità in forte crescita, supportata da uno sviluppo
tecnologico senza precedenti, ed ha ascritto un’espansione notevolmente superiore a quella del
sistema economico considerato nel suo complesso. Il materiale estratto, al netto degli sfridi di
cava, ha raggiunto un volume nell’ordine dei 60 milioni di metri cubi, mentre l’interscambio,
consolidando il carattere di struttura portante del settore, è pervenuto ad oltre 56 milioni di
tonnellate, quintuplicando il consuntivo iniziale.
Il Rapporto esprime valutazioni mondiali che possono compendiarsi nella permanenza di un trend
di crescita, sia pure con qualche momento critico dovuto a fattori esogeni. Lo sviluppo si è
naturalmente esteso alle tecnologie ed ai beni di consumo, pur dovendosi tenere conto delle
differenze strutturali insiste nella loro domanda. Detto questo, e preso atto della crescita impetuosa
fatta registrare dai Paesi in via di sviluppo e segnatamente dalla Cina e dall’India, è logico attirare
attenzioni specifiche sulle condizioni dell’Italia, la cui vecchia leadership produttiva appartiene alla
storia: ormai la sua estrazione è stata superata, prima dalla stessa Cina, e dopo anche dall’India
(ora nuova primatista dell’export quantitativo), dalla Turchia, dall’Iran e dal Brasile, scendendo al
sesto posto nella graduatoria planetaria.
L’Italia non è riuscita a conservare nemmeno il livello produttivo del 1989, quando la sua
estrazione pervenne ad oltre sette milioni di tonnellate, ma il suo “share” è sceso da un terzo del
totale al sette per cento di dieci anni orsono, ed al quattro per cento di oggi. Nell’export, il
consuntivo italiano è conforme a quello della produzione: il volume del 2018 ha iterato quello di 30
anni prima, ma evidenzia un forte calo nel corso dell’ultimo ventennio, pari al 26 per cento. Il
rovescio della medaglia è costituito dal valore medio per unità di prodotto, che nel 2019, per
quanto riguarda il prodotto finito esportato, ha raggiunto il nuovo massimo di 78 dollari per metro
quadrato equivalente (allo spessore convenzionale di cm. 2) ma l’aumento dei prezzi ha contribuito
in misura significativa a ridurre le vendite, e quindi, anche la produzione.
L’occupazione ha visto una perdita storica costante nel lungo periodo e stimabile nell’ordine di un
punto in ragione annua. pur confermando, quale residuo punto di forza, uno storico primato nella
produttività del lavoro. Condizioni critiche analoghe a quelle in essere per i materiali riguardano
anche le produzioni italiane di tecnologie per marmo e pietre, con flessioni notevoli delle rispettive
quote di mercato: basti dire che nel solo ambito europeo l’export marmo – meccanico del 2019 è
sceso al 57 per cento, contro i precedenti massimi di circa 75 punti.
L’aggregato lapideo nazionale deve tuttora acquisire una consapevolezza critica più matura dei
suoi limiti e delle sue opportunità, a cominciare da quelle in chiave di investimenti produttivi e
promozionali. Il Rapporto, per quanto gli compete, intende portare il tradizionale apporto costruttivo
a questo processo di documentazione e comunicazione, più che mai necessario quale strumento
di reale ripresa, ed in prospettiva, di uno sviluppo certamente perseguibile alla luce della domanda
internazionale e del progresso tecnologico

Lapideo, condizioni settoriali nel mondo e situazione italiana

L’industria del marmo e della pietra è contraddistinta da uno sviluppo mondiale sostanzialmente costante, con un gradiente di crescita superiore a quello del sistema economico considerato nel suo complesso: nell’ultimo ventennio, il volume dei materiali estratti e lavorati è triplicato, portandosi dai 51 milioni di tonnellate del 1998 ai 153 milioni del 2018: al fenomeno hanno contribuito Paesi di tutti i continenti, nel quadro di una progressiva valorizzazione dei propri materiali, ovviamente con diversi apporti quantitativi, fra cui sono emersi in prima priorità quelli di India e Cina.

L’Italia resta il massimo produttore europeo ed occupa il sesto posto assoluto nella graduatoria mondiale del comparto, senza dire della sua consolidata “leadership” nella produzione e distribuzione di macchine ed impianti settoriali, e si avvale di condizioni assai avanzate del “know-how” e della professionalità, sempre in grado di fare la differenza per l’acquisizione delle commesse di alto livello progettuale ed esecutivo.

La dinamica mondiale del settore si fonda sull’apporto determinante dell’interscambio: oggi, il consumo planetario del marmo e della pietra, pari a circa 1,7 miliardi di metri quadrati equivalenti (allo spessore convenzionale di cm. 2) riviene in misura maggioritaria dall’export-import. Al riguardo, basti notare che nel 2018 sono stati scambiati 30,2 milioni di tonnellate in grezzi destinati ad essere lavorati nei Paesi di arrivo, e 26,2 milioni di tonnellate in prodotti finiti, per un totale di 56,4 milioni contro i 57,9 dell’anno precedente ed i 15 del 1994. In edilizia, si tratta della quota più alta nel ragguaglio alla produzione.

Per quanto riguarda l’Italia, giova sottolineare che il suo contributo alla movimentazione internazionale rimane importante soprattutto in valore, dove si colloca al secondo posto assoluto, con un volume d’affari che nel 2018 si è ragguagliato a circa 2.200 milioni di dollari, pari al 10,8 per cento del totale mondiale; e soprattutto, con un prezzo medio del prodotto finito che risulta primo nel mondo, con oltre 77 dollari per metro quadrato equivalente nello stesso 2018, contro i 71 dell’anno precedente, ad ulteriore attestazione di un crescente interesse dei mercati, in primo luogo per il suo livello qualitativo.

A proposito dell’Italia, si deve aggiungere che le sue opportunità sono parzialmente condizionate dalla forte parcellizzazione aziendale, espressa in modo icastico dalla media di occupati per azienda che non supera le cinque unità (soci compresi): cosa che rende necessaria, in parecchi casi, una politica di aggregazioni, talvolta sistematiche, come attesta la storia dei suoi Consorzi lapidei, talvolta contingenti, in specie nella gestione di specifici problemi ambientali, tecnici e commerciali.

La concorrenza non pratica strategie attendiste, e in diversi Paesi si avvale di un’accentuata propensione ad investire, supportata da una volontà politica capace di comprendere il ruolo propulsivo che il settore è in grado di esprimere, in specie nei comprensori caratterizzati dalla carenza di apprezzabili alternative; e quindi, di fornirgli adeguate infrastrutture e adeguati incentivi. Ciò, in aderenza alla strategia di promuovere iniziative opportune in campo professionale, economico e finanziario, raccomandata anche a livelli istituzionali a carattere internazionale. Lo sviluppo del comparto si è naturalmente differenziato anche alla luce degli interventi pubblici e della capacità imprenditoriale di sopperire alle loro carenze: fattore assai visibile in Italia, grazie al ruolo propulsivo di una struttura produttiva attenta alle esigenze dei mercati, e quindi disponibile ad investire nonostante le scarse attenzioni del momento pubblico.

Momenti del ristagno lapideo italiano

Il marmo e le altre pietre di pregio costituiscono una risorsa di rilievo nell’ambito delle strategie di sviluppo avviate da diversi Paesi per la valorizzazione delle proprie risorse: in questa ottica, non sorprende che la produzione mondiale del settore sia cresciuta di almeno quattro volte nel giro degli ultimi 25 anni, con il contributo decisivo dell’interscambio, che interessa una quota altrettanto importante delle disponibilità e la maggioranza del giro d’affari.

Tra i pochi Paesi in controtendenza, il caso dell’Italia è la dimostrazione di quali effetti negativi possano scaturire dalle carenze politiche, con riguardo prioritario all’incapacità di comprendere il ruolo propulsivo del lapideo, diversamente da quanto è accaduto altrove: fattore tanto più condizionante quando si pensi che le riserve sono diffuse su tutto il territorio nazionale, con potenzialità di particolare rilievo nei distretti tradizionali di Toscana e Veneto, ma con opportunità non meno importanti in altre Regioni, tra cui è congruo ricordare Piemonte, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Puglie, Sicilia, Sardegna. In questo senso, sia pure con le differenze del caso, non è azzardato parlare di specifiche responsabilità generali, sia a livello nazionale, sia nell’ambito regionale.

E’ passato oltre mezzo secolo da quando l’Organizzazione delle Nazioni Unite si fece premura di sollecitare lo sviluppo del settore attraverso adeguate misure incentivanti, capaci di promuovere investimenti, in specie laddove altri comparti non avessero la medesima idoneità strategica: ebbene, quella raccomandazione del 1976 è stata palesemente accolta dai maggiori protagonisti lapidei extra-europei, a cominciare da Cina, India, Turchia e Brasile, la cui espansione è stata contraddistinta da tassi talvolta esponenziali, mentre in Italia, a differenza di quanto accade nel resto d’Europa, è venuta meno persino la strategia minima: quella di tutela dell’esistente.

La crisi endemica del mercato interno non ha trovato nell’export, soprattutto nel nuovo millennio, la tradizionale valvola di sicurezza, anche a causa della soverchia parcellizzazione aziendale e della conseguente impossibilità delle piccole imprese, che costituiscono la struttura portante del settore, di operare funzionalmente nelle nuove dimensioni globali del rapporto tra offerta e domanda. Il ristagno del fatturato estero, ormai lontano dai massimi storici, è stato oggetto di un ampio ma velleitario dibattito nelle sedi di competenza. In effetti, non ne è scaturita un’intesa tra il momento politico e le forze sociali circa gli interventi necessari ad invertire la tendenza, in un quadro di programmazione.

La crisi ha coinvolto in misura non meno rilevante anche le importazioni, con particolare riferimento a quelle dei grezzi, che per molti anni avevano alimentato segherie e laboratori con materiali scelti di altra provenienza – in specie silicei – capaci di incrementare tangibilmente il valore aggiunto, potenziando il consumo domestico ed integrando le maggiori forniture all’estero in modo da soddisfare integralmente le esigenze di una progettazione e di una committenza sempre più attente ai parametri qualitativi, non meno che alla variabile economica.

Da questo punto di vista, le cifre sono oltremodo chiare. Nel volgere dell’ultimo ventennio, l’importazione italiana del grezzo è quasi dimezzata, scendendo da 2,1 a 0,9 milioni di tonnellate (consuntivo del 2018) con una discesa sostanzialmente costante a far tempo dal 2006. Ne è scaturita una recessione delle attività trasformatrici che, sommandosi a quella delle produzioni domestiche, comprese quelle tipiche ed esclusive, ha dato luogo a condizioni di diffuso ristagno: ciò, sebbene in qualche caso si sia progressivamente diffusa la tendenza a preferire l’esportazione diretta del blocco di qualità, con vantaggi proporzionali per gli acquirenti esteri ma nello stesso tempo con ulteriori penalizzazioni del valore aggiunto. La perdita di capacità produttiva che ne è scaturita appare difficilmente recuperabile, tanto più che si è tradotta in obsolescenze anticipate, rinvio di manutenzioni, ed alla fine, in cessazioni dell’attività imprenditoriale. E’ certamente cosa buona e giusta confidare nella progettazione di Industria 4.0 ma è altrettanto doveroso tenere conto dei fattori depressivi presenti nel sistema, per esorcizzarli ed espungerli preventivamente.

E’ bene sottolineare che la crisi dell’import costituisce una componente minoritaria di quella lapidea, restando di tutta evidenza che la questione prevalente nell’ambito dell’interscambio è sempre quella dell’esportazione. In effetti, le sorti di marmi e pietre d’Italia sono strettamente legate alle prospettive di collocamento all’estero, in specie del valore aggiunto, ma ciò non significa che questo sia il problema unico: accanto all’import ed al regresso delle attività trasformatrici è congruo tenere conto dl mercato interno, infrastrutture, formazione, investimenti, credito, e via dicendo.

In conclusione, è d’uopo fare appello ad una volontà politica che sia finalmente capace di comprendere l’effetto moltiplicatore implicito nel comparto lapideo, e di operare in conseguenza, d’intesa col mondo imprenditoriale e con quello del lavoro.

Marmo e Sviluppo: Un binomio inscindibile

L’idoneità del settore lapideo ad avviare politiche di sviluppo dove altre industrie non potrebbero avere analoga capacità tecnologica e cromatica è fuori discussione, ed è stata riconosciuta nelle sedi più qualificate, a cominciare dall’ONU, con apposita Dichiarazione del 1976. In precedenza, il IX Congresso dell’industria marmifera europea aveva attirato l’attenzione dei Governi nazionali e regionali sul ruolo trainante della pietra anche in chiave sociale, ed aveva costituito la Federazione internazionale del settore con lo scopo di promuovere la crescita del comparto (1964).

 

Oggi, sono tanti i comprensori, o meglio i Paesi in cui la valorizzazione di questa importante risorsa naturale ha permesso di conseguire risultati occupazionali e sociali di buona consistenza: non a caso, la forza lavoro impiegata nel lapideo a livello mondiale avrebbe raggiunto, secondo stime mai smentite, 18 milioni di unità. Non a caso, in diversi Stati è stato riconosciuto alla pietra un ruolo strategico, assimilato a quello del comparto minerario.

 

In questo senso, il progresso è incontestabile, avendo tratto largo vantaggio dalla diffusione sostanzialmente universale delle riserve, ed in misura non inferiore dal forte avanzamento tecnologico. Ciò, sebbene in diversi Paesi la politica di ricerca sia tuttora limitata (soltanto in pochi casi la conoscenza del territorio è davvero esaustiva, come in alcuni Stati europei, in Arabia Saudita od in Turchia), facendo presumere che altre importanti risorse possano essere condotte alla vista e quindi alla coltivazione.

 

In alcuni casi, lo sviluppo è stato esponenziale. Del resto, negli ultimi venti anni la produzione ed i consumi mondiali sono sostanzialmente raddoppiati, senza dire che approfondite indagini scientifiche (condotte dal Dipartimento di Scienze della terra dell’Università di Siena) hanno permesso di rilevare come il volume dei marmi e delle pietre scavati nel mondo dal 1950 in poi sia stato superiore a quello di tutte le epoche precedenti messe insieme. Chi si ostinasse a pensare che il settore lapideo svolge un ruolo di retroguardia nel quadro di concessioni ad un prestigio retorico e magniloquente, è servito.

 

Per comprendere quanto siano ampie le dimensioni del settore, basti dire che la produzione mondiale del 2016, al netto degli scarti di cava, risulta non lontana dai 150 milioni di tonnellate, metà delle quali destinate ad un fiorente interscambio.

 

Il progresso assicurato dal comparto, a parte quello economico e tecnologico, spazia in un contesto di maggiore ampiezza e non è alieno dal volare alto. Oggi, la progettazione più moderna e competente ha riscoperto gli utilizzi del marmo, del granito e delle altre pietre sia nell’edilizia di rappresentanza, sia in quelle civili ed economiche, grazie a caratteri funzionali ed espressivi di grande competitività. Vale la pena di ribadire che le economie di durata e di manutenzione dei lapidei sono tali da motivare ampiamente qualche differenza di prezzo, che soltanto in prima battuta può consentire la formulazione di riserve senza reale fondamento tecnico.

 

L’ottimizzazione nel modo di vivere dell’uomo contemporaneo, quasi ininterrotta da oltre un secolo, ha trovato un fondamento significativo nell’espansione degli impieghi di materiali nobili, a cominciare dal marmo e dalle altre pietre. Ciò che un tempo era riservato ad una schiera molto ristretta di fruitori ha finito per diventare accessibile quasi a chiunque: motivo di più per sottolineare come il consumo medio per abitante, che nel mondo di oggi ammonta a circa un metro quadrato ogni quattro abitanti, con punte massime nell’Europa mediterranea che superano il metro pro-capite, sia destinato ad aumentare, potenziando un trend in ascesa in atto dagli anni cinquanta del secolo scorso, e migliorando ulteriormente la “way of life”.

Pianeta Russia: effetti delle sanzioni per l’aggregato lapideo

La Camera dei Rappresentanti di Washington ha dato il via ad un’ulteriore serie di sanzioni nei confronti della Russia, nonostante i dubbi e le perplessità di taluni alleati europei, ivi compresa l’Italia: atteggiamento, quest’ultimo, facilmente comprensibile alla luce dell’interscambio più recente, anche per quanto concerne marmi e pietre, assieme al relativo indotto.  Infatti, l’import russo era già stato penalizzato in maniera pesante, nonostante le ampie potenzialità di questo grande mercato, sia dal punto di vista produttivo, sia sul piano dei consumi.

L’interscambio settoriale della Russia vede una larghissima prevalenza degli acquisti, sia di materiali lapidei, soprattutto  lavorati, sia di tecnologie impiantistiche. In particolare, il consuntivo per il 2016 si è compendiato in approvvigionamenti per 436 mila tonnellate, con un buon recupero rispetto all’anno precedente ma con un regresso residuo del 21,2 per cento nei confronti del 2014, mentre l’export, di poco superiore alle 50 mila tonnellate, è rimasto quasi stazionario. Dal canto suo, il consumo domestico, nell’ordine dei 14 milioni di metri quadrati, risulta in flessione nella misura del 13,6 per cento, sempre in sede di ragguaglio biennale.

Non meno negativo è il bilancio tecnologico. Il lieve recupero del 2016, nell’ordine del dieci per cento, non deve prescindere dal risultato di medio periodo, in cui il regresso è stato di dimensioni straordinarie, in specie nei confronti del 2013, nei cui confronti sussiste una perdita globale nell’ordine dei due terzi, analoga a quella ascritta dall’Italia, primo Paese fornitore. Non a caso, il valore degli acquisti russi di tecnologie è sceso dai 141 milioni di dollari del 2013 ai 44 dello scorso esercizio, mentre l’apporto italiano è precipitato , nel medesimo periodo, dai 34,6 milioni di dollari ai 12,2  del 2016, ed in volume da 17.170 a 8110 quintali.

Sono cifre impietose, che attestano come le sanzioni non abbiano colpito soltanto i beni di largo consumo, a cominciare dagli alimentari, alla stregua di quanto si afferma da parte di una facile vulgata. Infatti, i beni industriali non sono stati meno penalizzati, anche in un comparto come quello lapideo, in cui la valorizzazione delle risorse locali costituisce uno strumento di sviluppo generalmente riconosciuto, tanto più che le risorse russe, sebbene ridotte dalla perdita storica di quelle dell’Ucraina e degli altri Paesi  ex sovietici, sono sempre più che ragguardevoli, dalla Carelia agli Urali ed alla grande direttrice transiberiana.

In questa ottica, è per lo meno sconcertante che le sanzioni abbiano riguardato un ampio ventaglio di merci e di servizi, in maniera sostanzialmente indiscriminata. Senza entrare nel loro fondamento giuridico e politico, su cui sono stati già versati i classici fiumi d’inchiostro, sia consentito aderire alle perplessità di cui si diceva in premessa, anche per quanto riguarda un comparto come quello lapideo, la cui idoneità ad avviare e potenziare politiche di espansione nel comune interesse è stata oggetto di autorevoli pronunzie della comunità internazionale e delle sue Organizzazioni più significative.

Africa: un continente lapideo in lista d’attesa

Le risorse naturali di marmi e pietre sono diffuse dovunque, ma in taluni casi la loro valorizzazione è tuttora marginale. Da questo punto di vista, parlando di grandi aggregati geografici, l’esempio dell’Africa è davvero emblematico: le ricchezze dei suoi giacimenti sono enormi, ma le strozzature che ne precludono lo sviluppo sono ben lungi dall’essere rimosse, nonostante gli auspici espressi più volte nelle sedi della cooperazione internazionale. In altri settori, anche collaterali, non è così: basti pensare a quello dei diamanti, in cui la produzione africana, guidata da Botswana e Congo, esprime una significativa maggioranza.
In campo lapideo, le tradizioni dell’Africa sono fra le più antiche, come attestano l’impiego dei suoi materiali nell’Impero Romano, le grandi opere egiziane, ed il livello avanzato che le tecniche estrattive avevano raggiunto in epoca storica. E’ una referenza che non basta: oggi, la quota mondiale di marmi e pietre spettante all’Africa è attestata su livelli molto contenuti, con stime produttive per il 2016 che si attestano intorno al sei per cento del totale, grazie all’apporto di due soli Paesi leader, quali Egitto e Sudafrica, Il primo dei quali è notevolmente sviluppato anche a livello di lavorazione, mentre il secondo risulta titolare di alcune esclusive prestigiose, con particolare riguardo a quelle del granito nero. Altrove, se si eccettua l’attività di cava in qualche giacimento di alto valore merceologico e cromatico, in genere ad iniziativa extra-continentale, e spesso italiana, come in Angola, Madagascar, Namibia e Zimbabwe, le strutture imprenditoriali di settore che possano definirsi competitive sono oggettivamente carenti.
C’è di più: qualche iniziativa mista di verticalizzazione non ha dato i risultati in cui si era confidato, sia per un’insufficiente qualificazione professionale, sia per talune difficoltà contingenti come quelle per l’ottenimento delle concessioni, per la gestione dei trasporti e per l’acquisizione di tecnologie in tempi funzionali. Si deve aggiungere che la politica di servizio da parte dei fornitori extra-continentali non è sempre ottimale: ad esempio, per quanto riguarda la disponibilità in tempo reale di ricambi e beni strumentali, più che mai basilare.
Negli ultimi decenni si sono organizzate importanti conferenze internazionali come quelle di Dakar e Lusaka, aventi lo scopo di promuovere forme di collaborazione con imprese di Europa, America od Asia, e con il supporto di forti Organizzazioni istituzionali, comprese quelle di espressione ONU, ma alla resa dei conti la carenza di infrastrutture, le difficoltà di accesso ai giacimenti, la mancanza di adeguati aggiornamenti professionali, l’incertezza del diritto e la stessa instabilità politica hanno finito per esaltare i limiti dell’Africa lapidea, a danno di oggettive e diffuse potenzialità.
E’ inutile aggiungere che l’iniziativa locale sconta negativamente le suddette carenze, cui si aggiungono quelle di natura finanziaria, a più forte ragione vincolanti. Esiste qualche eccezione, come nei Paesi dell’Africa mediterranea (Algeria e Tunisia), in Marocco ed in Etiopia, ma si tratta di fattispecie pur sempre circoscritte, anche se in qualche caso hanno dato luogo ad investimenti significativi sia nella fase estrattiva che in quella trasformatrice, con l’apporto di tecnologie italiane sempre apprezzate per qualità, rendimenti e sicurezza.
Non è azzardato affermare che la struttura operativa è rimasta spesso di tipo post-coloniale, sia pure non senza contributi relativamente apprezzabili allo sviluppo socio-economico delle zone interessate. Tuttavia, la complessità della congiuntura mondiale e la progressiva riduzione dei fondi resi disponibili a favore della cooperazione internazionale, soprattutto nel bilancio dei Paesi sviluppati dell’Occidente, hanno precluso un ampliamento delle prospettive di sviluppo.
L’Africa lapidea può aspettare, sia pure suo malgrado, perché possiede riserve di alto valore tecnologico e cromatico, e di forte consistenza quantitativa, destinate ad essere valorizzate in una logica di esportazione ma prima ancora nelle politiche locali di sviluppo edile. Tuttavia, sarebbe bene comprendere meglio che queste forme di valorizzazione possono essere – non solo nel campo del marmo e della pietra – un discreto antidoto a flussi migratori indiscriminati ed ai problemi che ne derivano nelle economie mature.

Etiopia: sviluppo lapideo per un paese in crescita

Con quasi cento milioni di abitanti, l’Etiopia è uno Stato che si va affermando nello scacchiere africano come una realtà di notevole interesse, attestato da un forte incremento del PIL (intorno agli otto punti), ma condizionato da un sistema economico che ancor oggi è prevalentemente agro-pastorale.
In campo lapideo, pur esprimendo un interscambio di marmi e pietre tuttora limitato, al pari di quanto accade per quelli contigui, l’Etiopia è un Paese che da diversi anni sta manifestando una forte propensione all’acquisto di tecnologie settoriali, giunto ad oltre 30 milioni di dollari nel quadriennio compreso fra il 2013 ed il 2016. In particolare, il 2015 ha visto il massimo storico dell’import etiope di tecnologie, per un valore nell’ordine degli 11 milioni, provenienti dall’Italia nella misura del 68,7 per cento; quanto al 2016, si è registrata una flessione, tutto sommato fisiologica, con acquisti per 6,3 milioni, ed un apporto italiano del 40 per cento, a fronte di una concorrenza cinese momentaneamente prioritaria.
I dati di medio periodo, peraltro, dimostrano che l’Italia ha saputo affermare decisamente la propria qualità, e nello stesso tempo, il proprio “know-how”. Infatti, se è vero che nel 2013 l’Etiopia aveva acquistato macchine ed impianti del lapideo per 5,6 milioni di dollari, e nel 2014 per 7,8 milioni, è ugualmente vero che gli “shares” italiani di questi due anni erano stati rispettivamente del 3,4 e del 2,3 per cento, evidenziando posizioni marginali. Nel biennio successivo, invece, c’è stato un vero e proprio salto di qualità, con una penetrazione italiana quasi travolgente, a suffragio di una promozione incisiva, ma soprattutto, di una valutazione oggettiva delle prestazioni tecnologiche ottimali da parte delle imprese etiopi.
L’analisi disaggregata evidenzia una propensione maggioritaria all’import delle macchine di levigatura, lucidatura e trattamento delle superfici, con oltre metà del valore acquistato, mentre le tecnologie di segheria e di taglio, pur avendo espresso un volume d’affari apprezzabile, risultano in subordine, al pari dell’impiantistica complementare. Ciò significa che la struttura produttiva etiope è ormai sviluppata, anche alla luce degli investimenti nel momento primario già affettuati in passato.
La mancanza di un flusso rilevante dell’export lapideo, di cui si diceva (ed anche dell’import) significa che le destinazioni del prodotto finito riguardano soprattutto il mercato interno, a fronte di una produzione estrattiva che, in base ai più recenti dati di fonte IGDA, si ragguaglia a 450 mila tonnellate in ragione annua, e quindi, ad una potenzialità di lavorato (nel riferimento convenzionale al manufatto avente spessore di cm. 2) pari ad alcuni milioni di metri quadrati, cui corrisponde un consumo teorico di mezzo metro per abitante, largamente inferiore a quelli europei, ma pur sempre doppio rispetto alla media mondiale. Sono dati che dimostrano l’importanza di questo mercato anche in un’ottica di prospettiva, con particolare riferimento alle potenzialità di sviluppo dell’export, sinora condizionate dalle difficili condizioni infrastrutturali, in primis dei trasporti.
L’Etiopia, in effetti, possiede riserve accertate di significativa consistenza, e talvolta, di buona tradizione (come emerge dal fatto che siano stati oggetto di specifico interesse già da tempi remoti e di valutazione positiva anche da parte dello Scamozzi), che evidenziano l’idoneità di questo Paese a tradurre in fatti concreti le vecchie raccomandazioni di fonte internazionale circa l’opportunità di promuovere politiche di sviluppo del lapideo. Ecco un caso emblematico di possibile cooperazione fra l’investimento di capitale estero e l’intrapresa locale, non senza il supporto di auspicabili interventi pubblici finalizzati ad implementare il livello socio-economico del Paese.

Lapideo: confermate le diminuzione delle vendite nei primi 8 mesi del 2016

I dati relativi alle esportazioni ed importazioni di materiale lapideo, sia grezzo che lavorato, riferito ai primi otto mesi dell’anno in corso, confermano quanto avevamo già delineato nel consuntivo di fine anno 2015 e nei primi mesi del 2016.

Le difficoltà si registrano sia per i quantitativi, che vedono perdite addirittura a due cifre percentuali, sia per i valori monetari. Il settore lapideo italiano sembrerebbe aver intrapreso una tendenza opposta rispetto a quella degli ultimi anni con variazioni negative che a questo punto possono ritenersi realistiche per l’intero arco dell’annualità corrente.

In queste brevi note, rimandando analisi più approfondite alle prossime scadenze, possiamo mettere in evidenza che, nei primi otto mesi del 2016, sono state esportate complessivamente dalle aziende italiane 1,8 milioni di tonnellate di materiale, sia grezzo che lavorato, in calo del -12,3% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, quando le tonnellate erano state superiori ai 2 milioni, per una contrazione che in valore assoluto è stato di circa 255 mila tonnellate.

Perdite nelle quantità ma pure nei valori monetari; infatti, nonostante si tratti di variazioni meno accentuate, si riscontrano diminuzioni nelle vendite del -4,4%, che assommano complessivamente a circa 1.275 milioni di euro, a fronte dei 1.333 milioni dell’anno 2015, per un calo pari a circa 58 milioni di euro.

Nella disamina per componenti osserviamo che le esportazioni italiane in quantità di materiale lapideo grezzo hanno toccato la quota di 815 mila tonnellate nei primi otto mesi dell’anno, un calo nettissimo, del -18,3%: quasi un quinto in meno rispetto all’anno precedente. Una simile contrazione (-15,3%) è stata riscontrata anche nei valori monetari delle vendite.

Come avevamo sottolineato nelle note precedente, preoccupa decisamente la forte frenata che ha riguardato la componente maggiormente rappresentativa, ovvero quella dei materiali calcarei grezzi, passati da 902 mila tonnellate dei primi otto mesi del 2015 alle 731 del 2016. Una diminuzione in valore assoluto di ben 171 mila tonnellate che si sono tradotte in una perdita in valore di circa 38 milioni di euro, mentre il calo dei silicei si è fermato a circa 2 milioni di euro. Le destinazione che hanno mostrato le peggiori dinamiche, rispetto all’anno precedente, sono stati alcuni paesi dell’Asia, quali l’India, ed i paesi del Medio Oriente (Arabia Saudita, Emirati Arabi).

Sempre in estrema sintesi osserviamo che anche dal lato delle vendite di materiale lapideo lavorato i risultati non sono stati soddisfacenti, se nei primi mesi dell’anno sembravano tenere quantomeno le vendite in termini di valore, per un +2,5%, a questo consuntivo si registra un calo del -1,6%, pari a meno 17 milioni di euro. Le quantità invece perdono il -6,8%, nel raffronto con il 2015, non raggiungendo la quota del milione di tonnellate vendute.

Nella distinzione per tipologie di materiale dobbiamo in ogni modo evidenziare che le perdite in valore sono state determinate prevalentemente dal granito, contraddistinto da un calo del -4,5%, a fronte della componente calcarea che ha mantenuto un livello sostanzialmente stabile.

Ulteriori indicazioni provengono anche dall’andamento delle importazioni di materiali lapidei, in questo caso possiamo evidenziare che i valori complessivi mostrano contrazioni a doppia cifra percentuale, sia per i valori monetari in euro (-10,8%), sia per le quantità (-10,2%). A dispetto di una simile contrazione per quanto riguarda la componente dei materiali grezzi, sia nei valori che nelle quantità, che rappresentano i 3/4 del totale dell’import, si segnala, all’opposto, come unico dato positivo quello dell’import di materiali lavorati, in aumento nei valori del +4,3%. Un risultato dovuto essenzialmente al trend favorevole dell’import di granito, in crescita del 14% in termini di valore (42 milioni) e dell’8,6% in quantità ( 85 mila tonnellate).

A conclusione di questa breve analisi possiamo confermare che i primi otto mesi del 2016 confermano le nostre valutazioni di fine 2015, mostrando una serie di difficoltà del settore lapideo italiano da non sottovalutare e da monitorare con attenzione alle prossime scadenze.

Esportazioni prodotti lapidei Gennaio-Agosto 2016

EXP2015

EXP2016

Diff. 2016-15

totale lavorati

Euro

1.067.933.160

1.050.415.329

-1,6

Kg

1.072.589.767

999.918.419

-6,8

totale grezzi

Euro

265.320.308

224.801.289

-15,3

Kg

997.819.834

814.843.114

-18,3

totale lapideo

Euro

1.333.253.468

1.275.216.618

-4,4

Kg

2.070.409.601

1.814.761.533

-12,3

Marmo di Carrara: forti diminuzioni delle vendite nei primi sei mesi del 2016, contrazioni soprattutto nel mercato indiano e nel medio-oriente

I dati Istat relativi all’interscambio commerciale di materiale lapideo, sia grezzo che lavorato, riferito ai primi sei mesi dell’anno in corso, confermano quanto avevamo già delineato sia nel consuntivo di fine anno 2015, sia nell’analisi degli andamenti nazionali dei primi mesi del 2016, ovvero, l’avvicinarsi di un periodo meno redditizio per la commercializzazione dei prodotti lapidei rispetto a quanto avvenuto negli ultimi anni.

Difatti i primi sei mesi del 2016 confermano per la provincia di Massa-Carrara una perdita, nelle vendite di materiale grezzo estratto al monte, nell’ordine monetario di circa 11 milioni di euro, in termini percentuali il differenziale nel raffronto con lo stesso periodo del 2015 è pari al -13%. E’ anche vero che questa frenata delle vendite arriva dopo anni più che positivi, permane infatti un trend ancora molto soddisfacente se il confronto lo si allarga all’ultimo quadriennio, 2016-2012, dove prevale ancora un saldo favorevole nell’ordine di nove punti percentuale.

Ma quali sono stati i Paesi che hanno diminuito gli acquisti del marmo grezzo di Carrara ? Non la Cina che permane il primo acquirente con il 40% circa sul totale delle vendite marmo estratto dai bacini apuani, e addirittura in crescita rispetto al 2015. Le contrazioni più accentuate sono state invece quelle dell’India che ha diminuito i propri acquisti di 4,3 milioni di euro, seguita dall’Arabia Saudita che ha addirittura quasi azzerato il proprio import di marmo di Carrara nei primi mesi del 2016. Diminuiscono gli acquisti anche da parte dell’Indonesia (-658mila euro), degli Emirati Arabi (-832mila), e per quanto riguarda il bacino mediterraneo il Marocco (-671mila euro) e soprattutto l’Algeria (1,3 milioni di euro).

Anche il marmo lavorato ha visto, in linea con quello grezzo, una significativa perdita nei primi sei mesi del 2016. Sono stati esportati materiali lavorati per circa 172 milioni di euro, in calo di 11 milioni rispetto al 2015, in termini percentuali la diminuzione è stata del -6,1%. Anche in questo caso si tratta della prima contrazione dopo anni di andamenti positivi, se difatti allarghiamo la comparazione agli ultimi quattro anni rileviamo che siamo ancora in una tendenza favorevole, dal 2012 al 2016 il comparto registra un +25%, in valore assoluto il differenziale è di 34 milioni di euro.

Come si sono distinti i vari mercati ? Il principale mercato di destinazione dei lavorati apuani permane quello degli Stati Uniti, il 47% del totale, ed in leggero aumento. Perdono invece, ed anche in maniera sensibile, i mercati arabi; come per il materiale grezzo anche nei lavorati si sta verificando una flessione fortissima nelle commesse verso l’Arabia Saudita, che ha diminuito i propri acquisti di lavorati di ben 10 milioni di euro, e da parte anche degli Emirati Arabi (-5,6 milioni di euro). Oltre al medio-oriente le sofferenze riguardano il mercato indiano, in calo di 2,7 milioni di euro, e quello del Marocco, in perdita di 2,3 milioni di euro.

Pur rimandando ai prossimi consuntivi analisi più dettagliate possiamo sintetizzare questi primi sei mesi del 2016 come mesi non facili per il marmo di Carrara, sia per la componente grezza che per quella lavorata, nonostante si tratti di flessioni dopo anni di segno positivo. Diviene invece più allarmate e degno di essere monitorato con discernimento il comportamento di alcuni partner abituali delle destinazione dei prodotti locali, in particolare si segnalano le preoccupanti diminuzione di acquisti da parte dell’India e dell’Arabia Saudita, oltre a quelle degli Emirati Arabi e di altri paesi che si affacciano sul mediterraneo.

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Dossier Brasile 2015

dossierbrasileLa seconda edizione di questo “Dossier
Brasile” vede la luce quando la crisi economica
mondiale iniziata nel 2008 manifesta taluni segnali di reviviscenza, che si possono
percepire nel rallentamento dello sviluppo
economico mondiale, nel rischio di
“default” in alcune economie nazionali, nei
perduranti conflitti armati in diverse parti
del mondo, ed in una crescita dei flussi migratori,
davvero senza precedenti.
È una realtà dura che esige dai leader
mondiali maggiori doti di lucidità per non
compromettere lo sviluppo e la pace; è
una sfida che appare ardua, anche perché
si pone ad un livello superiore rispetto alle
capacità di affrontarla.
D’altra parte, è una realtà che esige dai
settori produttivi capacità creativa, percezione
dei cambiamenti e sforzi incessanti
per conseguire un aumento della produttività
e della competitività, onde garantire la
tenuta e l’espansione dei mercati.
Questa è la sfida che ABIROCHAS affronta
in Brasile, attraverso un’azione politicostrategica
con l’obiettivo prioritario di contribuire
all’ottimizzazione tecnico-commerciale,
e quindi all’espansione del settore su
basi moderne e competitive.
Negli ultimi anni, l’industria brasiliana delle
pietre ornamentali è riuscita con successo
a superare la condizione di prevalente
distributrice della sola materia-prima,
conquistando la posizione di quinta esportatrice
mondiale, di leader occidentale del
settore e di principale fornitrice del mercato
statunitense, con un giro d’affari di 1,3
miliardi di dollari in ragione annua, quattro
quinti dei quali provengono dai materiali
con valore aggiunto.
Potrebbe sembrare che il comparto abbia
raggiunto la piena maturità, ma un’analisi
attenta delle risorse e delle prospettive
permette di constatare che l’obiettivo dello
sviluppo è sempre attuale e che le opportunità
di crescita sono molto ampie.

Esistono ancora parecchie sfide da superare,
come la conquista di nuovi mercati e
l’accesso a nuove frontiere tecnologiche ed
industriali. Quale apporto alla strategia
di crescita abbiamo avviato la cosiddetta
“terza fase di esportazione”, che intende
potenziare ed ottimizzare l’offerta di un

prodotto finito con valore aggiunto molto
elevato: ciò, alla stregua di ulteriori investimenti,
anche dimensionali, il cui livello
di rischio richiede nuovi avanzamenti nello
sviluppo tecnologico, nell’organizzazione e
nella gestione delle imprese.
La strategia descritta si inquadra nello
“Studio per la Competitività settoriale” in
fase finale di elaborazione da parte di ABIROCHAS,
con l’obiettivo di potenziare l’uso
della pietra brasiliana nell’edilizia mondiale,
che a sua volta è conforme al “Programma Nazionale di Esportazione” predisposto
dal Ministero per lo Sviluppo, Industria e
Commercio Estero. Ciò, nell’ambito di un
più ampio, indispensabile appoggio istituzionale,
in cui si distingue Apex-Brasil
(Agenzia Brasiliana di Promozione delle
Esportazioni e degli Investimenti), grazie ad
un contributo di successo al potenziamento
internazionale dell’economia federale attraverso
la crescita del valore aggiunto.
Buona lettura, con un voto di fiducia per il
futuro!

Reinaldo Dantas Sampaio
Presidente di Abirochas

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