Successo dell’antidumping ceramico europeo sull’import dalla Cina, marmi e pietre stanno a guardare

La Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea ha pubblicato, in data 23 novembre 2017, il Regolamento della Commissione che proroga i dazi sulle importazioni di piastrelle ceramiche cinesi per un quinquennio, con scadenza al 2022. Il provvedimento, come rileva una nota di Confindustria Ceramica, ha lo scopo di “ripristinare condizioni di corretta competizione sui mercati europei” quali quelle che nel precedente quinquennio hanno dato luogo ad “una riduzione del 77 per cento dell’import dalla Cina”.

Il livello dei dazi in questione oscilla fra il 30,6 ed il 69,7 per cento, confermando le statuizioni precedenti, e contestualmente la persistenza del “dumping” cinese che si aggiunge ad una straordinaria eccedenza della capacità produttiva, “pari a quattro volte la produzione comunitaria”.

La proroga in parola costituisce un indubbio successo della CET (Federazione Ceramica Europea) a fronte del grave danno che sarebbe maturato a carico delle imprese comunitarie qualora le misure vigenti nel precedente periodo di vigenza non fossero state confermate. In tale ottica, è comprensibile che il successo dell’azione antidumping costituisca un fondamentale atto di tutela dell’interscambio “fair” e nello stesso tempo, come ha rilevato Confindustria Ceramica, uno strumento idoneo a promuovere importanti investimenti innovativi nell’impiantistica e nelle tecnologie, “affrontando con maggiore fiducia le crescenti sfide competitive sui mercati internazionali”.

Il confronto col settore lapideo pone in evidenza un’importazione europea dalla Cina che nel 2015 è stata pari a 760 milioni di dollari e 2,3 milioni di tonnellate: cifre costituite in larghissima maggioranza da prodotti finiti, e da quote marginali di grezzi, con un prezzo medio di poco superiore a 18 dollari per metro quadrato equivalente, riferito allo spessore convenzionale di cm. 2. Si tratta, con ogni evidenza, di una forte perdita di valore aggiunto per l’industria europea trasformatrice, e di una quotazione largamente inferiore ai costi di produzione, non soltanto del Vecchio Continente.

In queste condizioni, il meno che si possa auspicare è l’adozione di analoghe misure a tutela dell’Europa, dei suoi materiali e della sua professionalità, essendo palese che siffatte tipologie di concorrenza si ripercuotono innanzi tutto sull’occupazione. Nondimeno, è sconfortante vedere come il comparto lapideo europeo, a cominciare dalla sua Federazione, ancora una volta sia rimasto a guardare, ignorando una questione fondamentale che investe pesantemente i suoi equilibri gestionali, e la conclamata esigenza di equità commerciale, a tutela di un oggettivo interesse comune.

Marmo bianco: una congiuntura complessa

Foto Daniele Canali / Marmonews.it

Foto Daniele Canali / Marmonews.it

Le ultime notizie apuane sul regresso del marmo bianco nel primo semestre del 2016 hanno suscitato preoccupazioni diffuse negli ambienti del settore, come è logico che sia, anche se i dati di breve periodo hanno sempre bisogno di verifiche più esaurienti. Poi, bisogna aggiungere che le cifre più critiche, se non altro per la loro consistenza quantitativa, sono quelle dell’export grezzo, cosa non certo sorprendente vista la flessione dell’interscambio mondiale di blocchi, già ascritta nel 2015, soprattutto da parte asiatica.
Vale la pena di sottolineare che il bianco non è certo un’esclusiva apuana, come ha dimostrato, se per caso ve ne fosse stato bisogno, l’ultima fiera di Verona, grazie alla rinnovata presenza dei corrispondenti materiali italiani, come quelli di Covelano e di Lasa, per non dire della sempre più forte partecipazione estera: basti citare, per limitarci alle più significative di fonte europea, le offerte di bianchi provenienti da Grecia, Macedonia, Bulgaria, Romania, Turchia (ma l’elenco potrebbe continuare per quelle di altri continenti).
Nel comprensorio apuano non si può coltivare la vecchia illusione secondo cui il bianco sarebbe un’esclusiva locale, sia pure prestigiosa. Al contrario, bisogna prendere atto di una situazione che è cambiata in maniera radicale e continua ad evolversi secondo la ragionevole esigenza di valorizzare le proprie risorse, tipica di ogni Paese in possesso di una politica industriale degna di questo nome. Certo, esistono talune rendite di posizione collegate alla qualità ed alla tradizione, ma nel mondo globale sembrano ragionevolmente destinate ad ulteriori elisioni.
In talune sedi, a cominciare da quella sindacale, si è insistito parecchio sulla necessità di valorizzare il marmo, inteso come bene comune, mediante una più oculata politica di verticalizzazione. Si tratta di un’idea che in teoria nessuno potrebbe contestare ragionevolmente, ma quando si scopre che la crisi investe anche il prodotto finito, viene da chiedersi se il problema non stia altrove: nella carenza degli investimenti, nelle difficoltà di accesso al credito, nella mancanza di ricambi professionali, nella latitanza di una politica estrattiva e della certezza del diritto. In una parola, nel crollo della fiducia, che sta alla base di ogni intrapresa.
Detto questo, stracciarsi le vesti quando le serie storiche della produzione e delle vendite vanno verso il basso appare decisamente inutile. Sarebbe congruo, invece, predisporre un programma di possibili interventi anticiclici, d’intesa con tutte le forze produttive, sociali, e soprattutto politiche, in cui si prenda atto non tanto dei numeri, quanto delle cause che li hanno determinati, e si converga su strategie condivise, basate su misure normative, professionali e finanziarie prioritarie, al cui seguito potranno unirsi quelle di una promozione intelligente.
E’ una storia vecchia che peraltro, quando si parla del bianco, si ripropone troppo spesso in modo ripetitivo. Ergo, bando alle parole, e spazio ai fatti.

Il progetto di un anfiteatro in Marmo di Angelo Mangiarotti

Angelo Mangiarotti

Angelo Mangiarotti

La sintesi del concetto di “progettazione oggettiva” su cui Angelo Mangiarotti ha fondato mezzo secolo di sperimentazioni e ricerca nel campo della architettura contemporanea, si svolge nelle brevi e schiette e risposte a questa intervista. La presentazione di un affascinate progetto inedito, arricchisce di sostanza concreta le tesi proposte da questo maestro dell’architettura e del design contemporanei.
D-Quale è il tuo punto di vista circa le attuali tendenze della architettura contemporanea, dove pare che sia in atto una inversione di tendenza radicale che scalza le basi della nostra tradizione costruttiva puntando alla realizzazione di edifici intesi come macro oggetti?
R. Sarò molto esplicito: purtroppo si sta abbandonando il concetto di progettazione oggettiva. Prendiamo ad esempio il caso di un concorso di progettazione. Fare una cosa “corretta” che però appare in qualche misura come cosa già vista significa semplicemente aspettarsi una stroncatura da parte dei “critici”. Non importa che il progetto sia corretto in relazione alla propria funzione, o che l’analisi dei costi, l’utilizzo di soluzioni e di materiali opportuni renda evidente la correttezza della progettazione. Il semplice fatto che qualcuno possa considerarlo “già visto”esclude ogni possibilità di successo. Basta fare un elenco, relativamente agli ultimi anni, circa il lavoro di decine di commissioni di concorso per capire che i risultati sono un disastro. Si tende ormai a premiare le cose strambe ed inutilmente complicate solo perché appaiono innovative, o semplicemente non appaiono già viste. Anzi, credo che non si sappia più nemmeno il perché debbano essere così torti e complicati; insomma, per esagerare il mio pensiero, a Michelangelo oggi gli si farebbe fare una cupola a spirale. Il mio è quindi un giudizio non positivo sulle attuali tendenze, su questa ricerca formale di cose mai viste. Certi architetti fanno scintille per un anno o due e poi scompaiono dalla scena. Ricordi il post-modernismo? Se non facevi cose post-moderne eri un cretino. Ora dove sono finiti i post-modernisti? Forse è una questione di clima culturale, ma in effetti…sono solo formalismi. Se non ci sono strumenti realmente innovativi è inutile fare del formalismo. Prima non si sono mai fatte cose strambe, ardite si! Non tutti i giorni nasce un materiale nuovo e realmente innovativo, ma dato che tutti i giorni si costruisce, la tendenza per essere “un po’ diverso”è il cercare la forma contorta e non funzionale. Forse anche perché il pensiero è contorto, e se guardi sotto… non c’è niente. Ecco perché continuo a pensare che è meglio vedere una cosa già vista, ma corretta, che una mai vista ma scorretta.
D- La tua lunga esperienza professionale e di ricerca ti ha messo in rapporto a scelte circa l’uso di due materiali fondamentali per la progettazione architettonica: la pietra e il cemento. Quale è il tuo rapporto con questi due materiali?
R-Due cose completamente diverse per uso e funzione: bisogna conoscerle per poterle usare bene. Se il marmo non lo conosci fai le cose in cemento, magari che sembra pietra, e tiri via. E’ vero che le copie sono molto ben fatte, ma tu hai perso il contatto con la realtà, una realtà culturale millenaria. E’ come paragonare il pane fresco con quello raffermo; ma d’altronde quando c’è crisi di farina si addotta la crusca, con la scusa che fa bene, che digerisci meglio…

Io ho cominciato ad utilizzare il marmo alla Henraux, nei primi anni sessanta:venivo giù da Milano, e confesso che rimasi affascinato dalla estrosa personalità di Erminio Cidonio, che mi lasciava fare, mi lasciava sperimentare la materia, ricercare soluzioni innovative.

E’ determinate avere buoni rapporti con le ditte che lavorano il marmo, stabilire un rapporto di fiducia con chi vi lavora.Materiale c’è ne dappertutto, non la cultura del marmo; devi avere il piacere di conoscerlo, di sapere come è e di immaginare il senso e il significato di quello che potresti realizzare.
D-Ho dinnanzi a me un tuo progetto, inedito, aggiungo “formalmente corretto”,che è stato concepito dalla tua fantasia sulla base di qualche cartografia, foto, indicazione che ti portai la scorsa estate:assolutamente insufficente per ogni virtuosismo. Eppure, è un progetto che sposa felicemente marmo e cemento in una soluzione “ardita”. Come e perché è nato questo progetto?
R- C’era la possibilità di fare un’anfiteatro. Mi sono posto il problema di fare una cosa fortemente attenta all’ambito spaziale e alla sua collocazione. Mi sembrava una buona idea che la gente potesse sedere in un’anfiteatro a guardare il mare. La “provocazione”è stare seduti, guardare il mare, ed essere a Carrara, con alle spalle le Apuane con il loro cuore di marmo e davanti il mare. Vi sembra poco?

La struttura portante è in cemento armato, rivestita di marmo bianco lavorato in maniera curvilinea. E’ vero, assomiglia vagamente ad una conchiglia spiaggiata sulla scogliera da una mareggiata. Si possono fare concerti sul mare, manifestazioni, spettacoli teatrali, oppure sedersi in una giornata qualsiasi a guardare il mare, a leggere. Insisto, vi sembra poco?

 

2004

Daniele Canali

E se i marmi lavorati nel comprensorio apuano fossero già il 55% della produzione dichiarata?

Foto Daniele Canali / Marmonews.it

Foto Daniele Canali / Marmonews.it

Pubblichiamo per dovere di cronaca l’opinione di Andrea Balestri (di Assindustria Massa Carrara) apparso su Toscana 24 – Il Sole 24 Ore che aprirebbe nuove riflessioni in merito al recente dibattito sulla legge regionale relativa alle cave di marmo.

Dalla tabella proposta in questa opinione emerge che già il 55% del marmo estratto nel comprensorio apuano viene lavorato in loco. Significa che è già assolto l’obbligo previsto dalla tanto contestata legge? Significa che dobbiamo ripensare in termini innovativi le strutture della trasformazione del prodotto lapideo? Rispetto ad un passato non troppo lontano, le lavorazioni di marmi e graniti nel territorio hanno certamente vissuto una fase di parcellizzazione, ovvero mancano grossi impianti di trasformazione compensati dall’aumento di piccole e medie imprese dedicate a lavorazioni complesse che, per limiti oggettivi, non sono ancora in grado di fare un sistema compiuto.

Ora se la tesi esposta da Balestri corrisponde all’oggettività delle cose, possiamo domandarci shakespirianamente “tanto rumore per nulla”?
L’OPINIONE DI ANDREA BALESTRI

Sulle cave Consiglio regionale poco informato

Toscana 24 – Sole 24 Ore

Questi ultimi scampoli della legislatura hanno visto il Consiglio Regionale impegnato a licenziare (frettolosamente) una serie di provvedimenti con la testa rivolta alle prossime elezioni. Ne sono scaturiti provvedimenti a tratti sconclusionati, in modo particolare nel caso della legge sulle cave e del Piano Paesaggistico.
Il malcelato intento di adottare provvedimenti molto restrittivi nei confronti delle attività estrattive è stato edificato su basi conoscitive parziali che hanno associato le cave al male assoluto: escavazione selvaggia e priva di regole, nessuna ricaduta per le comunità locali, danni irreparabili per le sorgenti, montagne violate per farne dentifrici e altre affermazioni estreme per enfatizzare artatamente un trade off tra civiltà e barbarie. ….

LEGGI SU TOSCANA 24 – IL SOLE 24 ORE

Ambiente e pietra

Una coesistenza possibile

(Foto Daniele Canali / Marmonews.it)

(Foto Daniele Canali / Marmonews.it)

Le rilevanti strozzature congiunturali degli ultimi anni hanno fatto accantonare, almeno in apparenza, il problema della compatibilità ambientale di cave e laboratori lapidei, ma il problema ecologico sussiste sempre. Anzi, lo sviluppo costante della produzione e conseguentemente degli scarti, lo ha reso più stringente, specialmente nell’ottica di medio e di lungo periodo. Le disposizioni legislative cambiano parecchio da un Paese all’altro, al pari della sensibilità pubblica e privata; ma il diverso grado di attenzione finisce per creare ulteriori discriminazioni, in aggiunta a quelle che derivano dai costi di base ed in particolare da quelli del lavoro e dell’energia.

La questione, a parte talune pregiudiziali estetiche, dure a morire sebbene abbiano fatto il loro tempo, riguarda in modo prioritario le discariche. Dato che una quota maggioritaria del prodotto è destinata ancora oggi a scarto e che una quota dei cascami di trasformazione comporta problemi di trattamento, è chiaro che tutto il mondo lapideo finisce per essere coinvolto dalla carenza, generalmente diffusa, di luoghi destinati allo scarico attrezzato, con problemi di continuità estrattiva, di movimentazione e di lay-out. Nei Paesi sviluppati queste strozzature sono diventate causa non marginale di svantaggio nei confronti degli altri, perché lo smaltimento è reso difficile ed oneroso da diversi vincoli che in qualche caso, più frequente in Europa, sono diventati quasi paralizzanti.

In Italia il problema è ricorrente e lungi dall’essere risolto in chiave strategica, mentre prosegue l’affidamento a misure tampone che lo ripropongono regolarmente a brevi scadenze, come accade in talune Regioni leader, ma in Grecia la situazione non è meno compromessa, con alcune cave che hanno finito per essere chiuse. In altri casi è stata affrontata in modo meno episodico, come in Portogallo, dove il livello elevato degli scarti e la configurazione orografica delle maggiori zone estrattive hanno creato esigenze di stoccaggio a cui si è provveduto, almeno in parte, per iniziativa pubblica, nell’ambito di una buona collaborazione col momento privato.

Marmi e pietre possono coesistere con l’ambiente, a patto che esistano normative agili e funzionali corredate da regolamenti esecutivi chiari e realistici, da cui emerga con precisione dove si può operare, se non altro per garantire la certezza del diritto, sempre necessaria, a cominciare dalle cave, dove in caso contrario ogni investimento diventa problematico. E’ inutile dire che bisogna rinunciare a pregiudiziali assolute come quelle di chi vorrebbe cancellare l’estrazione e la trasformazione dalla faccia del territorio, senza pensare che l’inquinamento indotto dal lapideo è minimo rispetto a quello procurato da altri settori e senza dire che la modificazione dell’ambiente è stata logica conseguenza di ogni insediamento umano a carattere stanziale.

L’ostracismo nei confronti della pietra è privo di motivazioni, salvo quelle rivenienti dalla demagogia, o peggio da concorrenze più o meno interessate. Non si vuol dire che la produzione del materiale di natura possa diventare motivo di richiamo turistico, anche se non mancano, in questo senso, casi di valorizzazione dei bacini estrattivi in Italia, negli Stati Uniti o nell’antico Egitto, per non parlare del recupero culturale e ludico di talune cave abbandonate; si deve affermare, tuttavia, che l’industria lapidea è stata ritenuta idonea ad avviare e potenziare processi di sviluppo, come è stato ufficialmente statuito da mezzo secolo, e che in questa ottica la sua continuità e la sua espansione non sono un optional, ma un vero e proprio obbligo, ferma restando la necessità di valutare quali siano gli interessi socialmente prevalenti e di promuovere una regolamentazione equa, che faccia salvi quelli di tutti.

L’ecologia non deve essere un “imbroglio”, come fu detto anni or sono non senza qualche apprezzabile fondamento. Al contrario, deve essere un valore che si ponga come tale attraverso la definizione dei suoi limiti, nella stessa misura in cui l’impresa ha il diritto-dovere di perseguire un fondamentale obiettivo socio-economico. A cominciare dall’impresa lapidea, i cui contenuti umani e professionali non sono certamente inferiori a quelli altrui.

Il ruolo del marmo nel progresso mondiale

di Carlo Montani

Cave di Gioia, Carrara (Foto Daniele Canali / Marmonews.it)

Cave di Gioia, Carrara (Foto Daniele Canali / Marmonews.it)

L’idoneità del settore lapideo ad avviare politiche di sviluppo dove altre industrie non potrebbero avere analoga capacità tecnologica e cromatica è fuori discussione, ed è stata riconosciuta nelle sedi più qualificate, a cominciare dall’ONU, con apposita Dichiarazione del 1976. In precedenza, il IX Congresso dell’industria marmifera europea aveva attirato l’attenzione dei Governi nazionali e regionali sul ruolo trainante della pietra anche in chiave sociale, ed aveva costituito la Federazione internazionale del settore, con lo scopo di promuovere uno sviluppo più organico del comparto (1964).

Oggi, sono tanti i comprensori, o meglio i Paesi in cui la valorizzazione di questa importante risorsa naturale ha permesso di conseguire risultati occupazionali e sociali di buona consistenza: nel solo momento di lavorazione, vale a dire dalla segheria in poi, la forza lavoro impiegata nel lapideo, in un campione di 40 Paesi costituito dall’Unione Europea e dai primi 12 Stati extra-europei leader, ha raggiunto, secondo fonti ONU, i due milioni di unità.

Il progresso è incontestabile, avendo tratto largo vantaggio dalla diffusione sostanzialmente universale delle riserve, ed in misura non inferiore, dal forte avanzamento tecnologico. Ciò, sebbene in parecchi Paesi la politica di ricerca sia tuttora limitata (soltanto in pochi casi la conoscenza del territorio è davvero esaustiva, come in alcuni Stati europei, nell’area del Golfo od in Turchia), facendo presumere che altre importanti risorse possano essere condotte alla vista e quindi alla coltivazione.

In alcuni casi, lo sviluppo è stato esponenziale. Negli ultimi 20 anni, la produzione ed i consumi mondiali sono più che raddoppiati, senza dire che approfondite indagini scientifiche (condotte dal Dipartimento di Scienze della terra dell’Università di Siena) hanno permesso di rilevare come il volume dei marmi e delle pietre scavati nel mondo dal 1950 in poi sia stato superiore a quello di tutte le epoche precedenti messe insieme. Chi si ostinasse a pensare che il settore lapideo svolge un ruolo di retroguardia, nel quadro di concessioni ad un prestigio retorico ed anacronistico, è servito.

Per comprendere quanto siano ampie le dimensioni del settore, basti dire che la produzione mondiale del 2013, al netto degli scarti di cava, è stata pari ad oltre 135 milioni di tonnellate, metà delle quali destinate ad un fiorente interscambio (XXV Rapporto Marmi e Pietre nel mondo).

Il progresso assicurato dal comparto, a parte quello economico e tecnologico, spazia in un contesto più ampio e non è alieno dal volare alto. Oggi, la progettazione più moderna e competente ha riscoperto gli utilizzi del marmo, del granito e delle altre pietre ornamentali sia nell’edilizia di rappresentanza, sia in quelle civili ed economiche, grazie a caratteri funzionali ed espressivi di grande competitività. Vale la pena di ribadire che le economie di durata e di manutenzione dei lapidei sono tali da motivare ampiamente qualche differenza di prezzo, che sulle prime aveva suscitato talune riserve.

In altri termini, il progresso conseguito da almeno un secolo nel modo di vivere dell’uomo contemporaneo ha trovato un fondamento significativo nella democratizzazione degli impieghi dei materiali più nobili, a cominciare dal marmo. Ciò che un tempo era riservato ad una schiera molto ristretta di fruitori ha finito per diventare accessibile quasi a chiunque: motivo di più per sottolineare come il consumo medio per abitante, che nel mondo di oggi ammonta a 230 metri quadrati (riferiti allo spessore convenzionale di cm. 2) per mille, con punte massime nell’Europa mediterranea di oltre un metro pro-capite, sia destinato ad aumentare, potenziando un trend in ascesa che è in atto da decenni, con la sola eccezione del 2009.

A prescindere dall’angolatura di valutazione, marmi e pietre sono strumenti di progresso, senza dire che, come è stato rilevato in importanti manifestazioni ufficiali, sono materiali di pace