I tre bacini estrattivi del carrarese e descrizione delle principali cave

Da cima Canalgrande (Foto Daniele Canali)

Da cima Canalgrande (Foto Daniele Canali)

Il Bacino Di Torano (31 cave attive), nel quale va compreso il più occidentale bacino di Pescina-Boccanaglia, produce oltre 30.000 ton/mese di marmi, sovente di qualità assai pregiate quali lo statuario, lo statuario venato, il calacata, il cremo e l’arabescato alle quote più basse, e ottimi bianchi Carrara alle quote superiori. La finissima struttura saccaroide degli statuari, con una pasta leggermente avoriata, ha reso celebri questi materiali: la loro rarità è dovuta all’essere compresi in “ovuli” sovente dal diametro di qualche decina di metri, inseriti all’interno della più vasta lente di bianchi ordinari.
Qui, poco distante la suggestiva frazione di Torano, vi erano le celebri cave di marmi statuari che dal Trecento ad oggi hanno dato materia ai sogni dei più grandi artisti. Entrando nel bacino dopo aver superato il paese di Torano di circa un chilometro, si trova, sul lato occidentale, il gruppo delle cave di Pescina, cui si accede dal precedente bivio per Pulcinacchia, mentre sul lato orientale, vi sono le rinomate cave di Crestola che serrano a ponente l’imbuto naturale che introduce al bacino di Torano.

Proseguendo la strada di fondovalle – prestando la dovuta attenzione al traffico pesante – si giunge a Grotta Colombara, un sistema di cavità naturali poco profonde, attualmente sommerse di detriti e un tempo famose come ricovero naturale dove si lavoravano manualmente, per opera perlopiù di anziani e fanciulli, mortai per macinare gli ingredienti di cucina, le famose mattonelle di marmo dette quadrelle genovesi (in virtù del fatto che per tramite di quei mercanti giungevano in Spagna e in Europa settentrionale) stipiti e tavole marmoree per i più svariati utilizzi.
Salendo ancora fino al Pianello, si incontra ad est la strada sterrata che conduce alle cave della Calocara sul fianco occidentale del monte dei Betogli che segna l’inizio dello spartiacque naturale con il bacino di Miseglia-Fantiscritti.
Nei pressi della Calocara un tempo vi era una interessante cava tardo-romana ricoltivata ed ampliata in età medievale. Usiamo il passato poiché adesso ne resta ben poca cosa, essendo spesso incivile abitudine cancellare i siti dei ritrovamenti archeologici, scoperti nel corso della rimozione di ravaneti secolari, nel timore che questi possano rallentare o fermare i lavori della cava.

Il gruppo di cave della Calocara-Betogli, da cui si estrae un buon bianco dalla pasta assai candida, presenta cave a cielo aperto sui crinali del monte e sulle sommità del medesimo, nonché cave in galleria. Tornati a ritroso verso il Pianello e appena superato il fianco del grande e moderno impianto di granulazione che lì sorge, si sale verso le suggestive e rinomate cave di Lorano.
La maggiore di queste, gestita dalla Cooperativa Cavatori Lorano, mostra nell’imponenza delle sue bancate la struttura più intima della materia: dal cosiddetto “cappellaccio” ovvero la pelle del monte che ricopre il giacimento marmifero si passa a grandi sezioni di marmi nuvolati, con una pasta assi salda grigio bluastra striata da linee più scure conosciuta fin dall’epoca romana come marmo azzurro per poi giungere al grande giacimento dei bianchi ordinari; le ripide pareti rivelano anche, scendendo per qualche decina di metri fino al piano di coltivazione, dall’alto al basso, una logica secolare di attaccare la materia.
Con questi marmi è stato rivestito il Grand Arche di Parigi, come un secolo prima erano stati rivestiti gli interni della lussuosa residenza londinese dei Fabbricotti, la Lorano’s House che ebbe il rinomato privilegio di accogliere tra le sue mura la regina Vittoria: una valida e significativa promozione pubblicitaria per i marmi di Carrara che ebbe risonanza in tutta Europa.

Dinanzi a Lorano è possibile ammirare il ravaneto e le cave del Battaglino, caratterizzati dalla spettacolare strada di arroccamento che sale ripida a zigzag lungo il ravaneto fino alla sommità del monte verso la cima della Verdichiara e le cave della Nicciola, perlopiù incolte da un trentennio.
E’ salutare e molto suggestivo il salirvi a piedi.
A fianco del Battaglino e agevolmente raggiungibili attraverso la strada di fondovalle, incontriamo le rinomate cave del Polvaccio da cui Michelangelo pare cavasse di persona i marmi per alcune delle sue opere più note.
Queste cave, fino a pochi anni fa coltivate a pozzo e in sottotecchia, sono attualmente lavorate a cielo aperto partendo dal culmine per poi abbassare via via i piani di coltivazione nell’intento di sfruttare al meglio i filoni marmiferi non intaccati dalla precedente fase di lavorazione; salendo ancora si giunge alla stazione di Ravaccione della ferrovia Marmifera (455 metri s.l.m.) da tempo abbandonata.
Da lì una lunga galleria fora le pendici del Monte Torrione per giungere a Fantiscritti, nel bacino marmifero centrale delle cave carraresi. La galleria oggi non è percorribile al pubblico, ma in tempi ragionevoli potrà, forse, essere nuovamente aperta al transito. Dalla stazione di Ravaccione, un tempo immagine simbolo delle cave carraresi e della Ferrovia Marmifera, si ascende ancora verso le cave dette dell’Amministrazione appartenute un tempo alla famiglia Del Medico e celebri per aver dato i marmi che arricchiscono il Palazzo Reale di Madrid.

Da qui, verso ovest si apre il suggestivo scenario di Canalbianco e ad est quello del Torrione. Interessante fra le cave attive del Torrione è una splendida cava in sottotecchia, attualmente non lavorata poco più in alto della quale si incontra il passo dei Fantiscritti che, dopo qualche decina di metri percorribili a piedi, immette nell’omonimo versante. Si consiglia vivamente di assistere ad un tramonto dalle cave del Torrione, per godere di uno spettacolo realmente poetico e suggestivo sull’intera vallata. All’altezza delle cave del Torrione inizia un’erta rampa sterrata che conduce alle cave di Ravalunga e, dopo un breve strappo, prosegue per giungere al Piazzale dell’Uccelliera.
Il bacino di Torano è tra i tre bacini marmiferi carraresi quello più “lunare” data la forte frantumazione di numerose sezioni della montagna, in parte a causa del termine naturale della lente marmifera che va a sovrapporsi a scisti e calcari delle formazioni orografiche vicine, in parte come risultato dello spietato uso di mine invalso nel passato. Comunque queste masse di detriti sono una importante industria creata dall’indotto marmifero. Ogni anno, infatti, vengono esportati da Carrara più di 2 milioni di tonnellate di granulati di carbonato di calcio puro, siano essi di diametro minimo o micronizzati destinati all’industria di trasformazione e utilizzati nella produzione di carta, gomma, chimica, farmaceutica, inerti per l’edilizia ecc.

Il Bacino di Fantiscritti (30 cave attive e oltre 30.000 ton/mese di marmi prodotti) è il cuore dei giacimenti marmiferi carraresi: si svela improvviso non appena vengono superate le pendici del Monte Croce, poco sopra la frazione di Miseglia. La visione suggestiva dei Ponti di Vara è un classico stereotipo visivo delle cave carraresi: una veduta d’insieme di notevole effetto, sia durante l’assolato mezzogiorno che nella magica atmosfera della notte, quando la luna rende profonde le ombre e soffuso il chiarore delle rocce. Qui si incontrano i due storici ponti ottocenteschi della Ferrovia Marmifera (1890) con il ponte della rotabile, ultimato negli anni ’30.
Fantiscritti è la zona del marmo bianco ordinario, dei venati dalla pasta cristallina bianca e bianco-cenere finemente venata di grigio, dei nuvolati di eccellente solidità, del cremo dal vago color avorio scuro con esili fili verdi e del raro zebrino, dalle forti striature grigio fumo e verdi, ottenuto dal differente verso di taglio dato a particolari saldezze di cremo.
Già ai margini del ponte principale, le cui cinque arcate sono sempre più ingiustificatamente sommerse dai detriti, si trovano, nelle cave di Vara bassa e Vara alta interessanti cave a cielo aperto e a pozzo che propongono alla vista queste varietà di marmi. Ad ovest il tracciato della ex-ferrovia – adibito fin dagli anni sessanta al traffico dei camion – supera la lunga galleria di Montecroce permettendo la discesa verso la città mentre ad est si dirige verso Colonnata con gallerie e viadotti che arrivano al Tarnone, dove devia nuovamente ad ovest, sempre in galleria, per sbucare poi nel piazzale di Fantiscritti e quindi, ancora in galleria bucando le falde del Monte Torrione, in direzione di Ravaccione, meta ultima del percorso. Tutte le cave poste in quota superiore rispetto le stazioni di caricamento della ferrovia dovevano fare “lizzare” i marmi dal piano di cava al poggio di caricamento: la lizzatura, ovvero la antica tecnica di fare scivolare per mezzo di funi calate a mano con brevi strappi, grossi blocchi di marmo posti su di una slitta lignea che scorreva su traverse saponate, viene rievocata ogni anno ai primi di agosto presso i ponti di Vara.
Risalendo oltre i Ponti, lungo la rotabile asfaltata, dopo un paio di tornanti si giunge al Poggio di Fantiscritti, dove un moderno piazzale attrezzato permette, durante l’estate, la realizzazione di concerti e spettacoli sovente trasmessi in televisione. Sul lato ovest del piazzale, entrando nella ex galleria ferroviaria e percorrendola per circa duecento metri, si giunge all’interno della spettacolare cava sotterranea della Galleria Ravaccione: una immensa cattedrale scavata nel cuore del monte a partire dal vecchio tracciato ferroviario che, un tempo imponente opera di ingegneria ferroviaria, oggi scompare letteralmente inghiottita dalla vastità degli spazi tagliati con i moderni macchinari.

Impressiona vedere il foro della galleria ritagliato all’interno di un enorme cubo distaccato dal resto della roccia, quasi perduto tra i giganteschi pilastri di marmo lasciati a sorreggere la montagna: tre enormi sale compongono la cava, due attivamente lavorate, illuminate da grandi fari piantati nel corpo della montagna, in una imponenza che rende minuscoli i moderni mezzi meccanici usati per movimentare i blocchi appena staccati dal monte. Tornati a riveder le stelle, per parafrasare il sommo Dante, o piuttosto tornati nella luce accecante del giorno, si noterà sopra l’entrata della galleria la cava detta gli Scaloni, che si sviluppa alla sommità di una lunga teoria di muraglioni di pietra a secco, i cosiddetti “bastioni” caratteristici delle nostre cave fino ad una ventina di anni fa. Qui è possibile osservare tutt’oggi un interessante piano inclinato per la lizzatura dei marmi ed altre caratteristiche di grande interesse archeologico-industriale che richiedono una opportuna tutela giuridica e culturale.
Dal Poggio si sale ancora lasciando ai lati interessanti cave dai derrick abbarbicati alle pareti, una cava a pozzo raggiungibile solo in ascensore (lo stesso che fa salire in superficie i blocchi di marmo) e una vasta muraglia micenea formata da grandi blocchi squadrati posta a reggere un grande ravaneto, soggetto prediletto, negli ultimi tempi, di spot pubblicitari di alcune case automobilistiche. Infine si giunge dinanzi alla monumentale cava dello Strinato, presso la Bocca di Canalgrande. Lì la strada si dirama, dirigendosi ad ovest verso la Fiordichiara e i Fantiscritti, ad est verso Canalgrande e la Carbonera.

Le cave della Fiordichiara sono un ottimo esempio di cave di galleria, logica prosecuzione delle cave sottotecchia scavate, decenni or sono, in questo versante del monte Torrione. Colpisce l’assenza di un vasto piazzale e la struttura ad enormi finestroni sovrapposti tipica di quella cava, con le aperture superiori che si addentrano sempre più nella montagna. Grandi derrick movimentano i blocchi dall’interno della cava allo spazio sottostante, e nel modo medesimo agiscono i macchinari e le pale gommate utili alle lavorazioni in galleria. La strada procede ancora per un centinaio di metri tra la soffice polvere di marmo, regina di questi luoghi, per aprirsi infine sullo scenario delle cave dei Fantiscritti, chiamati così perché nell’erta parete di uno sperone furono scolpiti, in età romana, piccole figure a bassorilievo raffiguranti Ercole in compagnia di Geta e Caracalla figli dell’imperatore Settimio Severo o, secondo un’altra ipotesi, Ercole con Giove e Bacco. L’edicola marmorea fu staccata dal monte nel 1864 per essere conservata presso l’Accademia di Belle Arti (vedi a pag.) dove ancor oggi può essere ammirata; altre iscrizioni facenti parte dell’edicola e listate da celebri firme di illustri visitatori, quali il Giambologna ed il Canova sono attualmente depositate presso il Museo Civico del Marmo (vedi a pag.).
Tornati a ritroso al bivio della Bocca di Canalgrande e percorsi duecento metri verso est si incontra la suggestiva cava di Canalgrande, condotta dalla Cooperativa Cavatori Canalgrande.
Vi si estraggono bianchi, venati e nuvolati capaci di grandi saldezze; materiali notoriamente solidi ed assai ricercati. La cava si sviluppa sia lungo la parete del monte che a pozzo, con qualche tentativo di sottotecchia ormai in disuso, in una movimentata sequela di sfaccettature e piani di coltivazione, davvero suggestiva nella luce radente del pomeriggio. Più sopra è la cava di Carbonera, somigliante ad una gigantesca scala formata da parallelepipedi che presto si confondono con le aspre pieghe del culmine della montagna. Da qui si gode uno splendido panorama sulla città e sul mare che si perde in azzurro color di lontananza. In questa cava, nel 1929, fu estratto l’enorme monolite di 300 tonnellate, lungo 18 metri e largo 2,35 metri destinato alla realizzazione di un obelisco da porre in Roma. Infine, sulla Cima di Canalgrande, si può notare una interessante cava in ampia galleria e, in sommo, una cava sormontata da un taglio a struscio, da cui si gode un paesaggio impagabile sulle Apuane.

Il Bacino di Colonnata (29 cave attive, 40.000 ton./mese prodotte) è il più orientale dei tre bacini carraresi: risalendo la strada comunale per Colonnata dal Ponte di Ferro, tra i più antichi ponti della FMC inaugurato nel lontano 1875, si incontrano numerose segherie eredi dei primitivi impianti sei-settecenteschi per il taglio delle lastre anticamente azionati dalla forza motrice delle acque. Il bacino conta una trentina di cave attive tra le quali le cave del complesso di Gioia, le più grandi di tutto il comprensorio carrarese. Vi si estrae il bianco ordinario dalle grandi saldezze, ma principalmente bianchi venati, bianchi arabescati, il Bianco Brouillé, il Bardiglio nelle sue tonalità più azzurrognole (bardiglio nuvolato, bardiglietto e il raro Bardiglio Cappella).
In prossimità della località detta Canaglie è possibile scorgere, in sommità dello stretto vallone, la suggestiva cava dell’Artana che appare come un castello fantastico cinto da muraglie marmoree dalle grandi striature oblique che corrono sulla superficie bianca del marmo come distratte pennellate di un pittore impressionista. Passata Mortarola, sbocco antico delle vecchie vie dei carri si giunge a Bedizzano (vedi a p.) da dove si prosegue per Colonnata. Attraversato per circa un chilometro un fitto bosco di castagni si giunge alla cava della Piana, magnifico esempio di cava a pozzo, profonda alcune decine di metri e sviluppata in sotterraneo da cui si traggono eccellenti bianchi venati e bardigli.

I blocchi giungono in superficie per mezzo di ascensori; la direzione della cava ha posto, sull’orlo di ingresso al pozzo, un significativo verso dantesco che ben rende l’atmosfera di quei luoghi ed alcune passerelle da cui è possibile ammirare l’interno della cava. Poco dopo, salendo ancora, si incontra l’accesso pedonabile alla suggestiva cava dell’Artana, citata in precedenza mentre più oltre si giunge al Calagio, da cui è possibile raggiungere, sempre a piedi, le cave romane di Fossacava dove sono tuttora ben visibili le tagliate romane che occupano un anfiteatro naturale con un fronte di circa 200 metri articolato nei vari sistemi antichi di taglio: formelle, trincee, fori utilizzati per l’introduzione di cunei di legno che, bagnati per più giorni, si ingrossavano permettendo il distacco dei blocchi lungo le naturali linee di fratturazione. Fossacava, da cui veniva estratto il marmo “azzurro variegato” ricordato anche da Strabone (l’attuale Bardiglio Nuvolato) è il sito in cui sono stati effettuati i maggiori ritrovamenti di materiali archeologici: epigrafi incise sulle pareti, altari votivi nonché diversi utensili come martelli picconi e cunei metallici, monete, pezzi semilavorati e una graziosa statuetta di Artemide, conservata, insieme a molti altri reperti, presso il Museo Civico del Marmo.

Poco più a nord è possibile visitare un’altra interessante cava romana sviluppata a gradoni, con lunghe trincee scavate allo scopo di attaccare la roccia che ancora appare nelle primitive forme, appena sbozzate, dei manufatti che vi si dovevano ricavare: fusti di colonne, capitelli, basi ecc. Tornati al Calagio e lasciata sul fianco occidentale la cava dei Lochi si prosegue ancora per circa trecento metri per poi voltare verso il grande complesso estrattivo di Gioia. In sommità de monte, superate alcune cave recentemente riattivate nella zona di Cancelli di Gioia, si giunge nel grande anfiteatro di Gioia- Piastrone, della cava, cioè, lavorata in modo eccellente dalla Cooperativa Cavatori di Gioia, distribuita lungo enormi gradoni discendenti sovrastati da una imponente parete marmorea ad anfiteatro; a sud-ovest discende un’altra cortina marmorea, parte di una altra cava condotta da una ditta privata che ha sezionato il monte per decine di metri lasciando così intravedere un ammirevole spaccato geologico dell’intima struttura del marmo: una grande fascia di bardiglio che scorre obliqua verso il basso, poi la grande lente di bianco venato nelle sue articolazioni più minute. Subito dietro lo sperone, in uno stridente contrasto tra natura selvaggia e natura piegata dall’opera umana, incontriamo un’altra grande cava con tagli obliqui a struscio e bancate che giungono in sommità della cresta.
Da qui è possibile risalire ancora più in alto, ovviamente a piedi, lungo la strada sterrata che si arrampica verso il culmine del monte, per godere di una irripetibile veduta d’insieme delle cave di Gioia, alle quali fa da sfondo lo snodarsi a semicerchio del versante massese delle Apuane. Impegnandosi in una agevole passeggiata di un quarto d’ora si potrà dominare il vasto paesaggio che si apre sugli alti gioghi delle Apuane e in particolare sulla Tambura dove è possibile intravedere il lento e tortuoso incedere della settecentesca via Vandelli, i piccoli paesi abbarbicati alle pendici della valle del Frigido e, nel versante carrarese, una spettacolare quanto insolita vista di Colonnata e del Monte Maggiore.
Tornati sulla strada di fondovalle si prosegue verso Colonnata da dove, superato il bivio per il paese si incontra la tortuosa strada per le cave dei Campanili: la zona prendeva il nome da due alti speroni di roccia residui delle lavorazioni subite dall’antica cresta di spartiacque e di recente abbattuti per motivi di sicurezza, visto il loro instabile incombere sui piazzali delle cave sottostanti. Infine si scende verso l’interessante gruppo delle cave dei Canaloni, cinte a nord dalla natura aspra delle dorsali apuane. Torreggia su queste cave uno sperone marmoreo sfaccettato in numerose superfici mentre lunghe pareti di marmo dalle mirabili saldezze corrono verso nord. Siamo ormai alla fine del bacino marmifero di Colonnata chiuso al culmine dalle cave dei Vallini.

Tratto da Carta Tematica delle Cave di Carrara