Nuovo contratto collettivo per i lavorati del marmo: Un centinaio di euro mensili di aumento a regime ed interventi per la sicurezza

(Foto Daniele Canali)

E’ appena entrato in vigore il nuovo contratto nazionale di categoria per gli addetti all’industria lapidea, firmato dalle Organizzazioni sindacali e datoriali alla fine dello scorso ottobre, al termine di un iter piuttosto rapido, nonostante un’interruzione a primavera ed una giornata di sciopero in luglio: discrasie poco più che simboliche, se poste a raffronto con vertenze storiche di lunga durata e di forti tensioni sociali, tuttora rammentate dagli anziani non senza nostalgie e qualche commozione.

Stante il momento critico – ma per molti aspetti sarebbe più congruo parlare di ristagno – che il comparto vive in Italia e non solo, i risultati della trattativa sono stati abbastanza positivi, traducendosi in un aumento complessivo medio di 97 euro mensili spalmato in tre ratei annuali (l’ultimo andrà a regime nel gennaio 2022) ed in significativi apporti migliorativi nell’ambito della sicurezza, che non da oggi costituisce una delle preoccupazioni più sentite nel mondo del marmo, con ovvio riguardo prioritario a quello estrattivo. A tale ultimo riguardo, giova sottolineare l’erogazione di 4,25 euro mensili per ogni lavoratore, da accreditare in un apposito Fondo destinato a potenziare il sistema antinfortunistico.

Al di là dei contenuti concreti dell’accordo, ciò che si deve desumere piuttosto chiaramente dalla sostanziale disponibilità delle parti a “chiudere” in tempi funzionali é un fatto incontestabile, confermato dai grandi numeri della produzione, del mercato interno e dell’export: il comparto continua a non crescere, ed anzi appare impegnato in una difesa dell’esistente a cui corrispondono investimenti a carattere prevalentemente sostitutivo piuttosto che innovativo, una promozione carente, ed in parecchi casi regionali o comprensoriali, attenzioni molto relative da parte del momento politico, senza dire della permanenza di qualche conato punitivo riveniente da opinabili pregiudiziali ecologiche (caso mai, sarebbe d’uopo qualche misura importante nel campo dell’azione infrastrutturale di competenza pubblica).

L’Italia non è più in grado di competere sul piano quantitativo coi grandi colossi del settore quali India, Cina, Turchia, Iran e via dicendo. Nondimeno, eccelle sempre sul piano qualitativo, come attestano il suo primato nel valore medio dell’export di lavorati ed il secondo posto mondiale nella graduatoria del giro d’affari relativo al prodotto finito: un fiore all’occhiello che sottolinea la permanente preferenza della clientela di vertice, ma che si paga in modo visibile con le progressive riduzioni della medesima esportazione, sia in valore, sia – a più forte ragione – in volume, e con gli effetti a cascata che ne derivano, per concludersi con quelli sui livelli occupativi.

In conclusione, se da un lato è giusto compiacersi per la definizione del nuovo contratto collettivo, dall’altro non resta che aggiornare la lunga lista delle doglianze per una politica settoriale episodica, e sempre più lontana dalla programmazione organica che in altri Paesi più consapevoli è impegnata, se non altro, nella consapevole opera valorizzatrice dei contenuti sociali e civili del marmo e della pietra.