Graniti e pietre del Brasile: dalle origini coloniali al nuovo millennio

La valorizzazione delle pietre brasiliane come prodotti strutturali per l’edilizia ebbe inizio nell’epoca coloniale, grazie all’opera congiunta dei missionari e dei militari, ed alla duplice esigenza di costruire, da una parte, luoghi di ricovero e di culto, e dall’altra, vere e proprie fortezze in grado di supportare l’espansione verso le grandi estensioni territoriali del’occidente e del settentrione. Ciò, con uno sguardo di particolare attenzione ai sistemi fluviali, cominciando da quelli dell’Amazzonia, la cui rete navigabile comprensiva dei tanti affluenti si colloca nell’ordine di 20 mila chilometri.

All’inizio, talune fortezze vennero costruite utilizzando pietre d’importazione provenienti dal Portogallo, alcune delle quali insistono tuttora nella foresta tropicale, come quella del celebre “Presepio” nel Mato Grosso, munita di improbabili ed obsoleti cannoni (1). In genere, l’uso lapideo nell’architettura militare con lavorazioni a massello od a spacco di cava fu prevalente su quello religioso, almeno sino a quando le esigenze di una difesa non disgiunta dalla conquista e dall’occupazione di nuove terre rimasero inderogabili. D’altra parte, la difficoltà e l’onerosità dei trasporti dal Vecchio Continente conferirono un rapido impulso alla sostituzione del prodotto europeo con quelli indigeni.

Per lungo tempo, l’impiego della pietra rimase limitato alle opere strutturali, con rare eccezioni decorative, perché le condizioni tecniche non consentivano un’evoluzione in senso paleoindustriale come quella ellenica, iberica od italiana, in cui la cultura della pietra poteva vantare una storia plurimillenaria. In Brasile, il salto qualitativo e quantitativo fu rapidamente compiuto dopo l’unità nazionale ed il sofferto riconoscimento della sua indipendenza da parte portoghese (1825), grazie all’immigrazione dall’Europa, ed in primo luogo proprio dall’Italia, quasi a suggellare sin dall’inizio un rapporto preferenziale che avrebbe caratterizzato la congiuntura lapidea sino al nuovo millennio.

Non a caso, risale alla seconda metà dell’Ottocento l’inizio della trasformazione industriale delle pietre locali, grazie al primo telaio importato dagli emigranti veneti, che avrebbe fatto scuola per giungere agli attuali 1500. Poi, fece seguito una lunga fase non meno importante di acquisti del manufatto italiano, segnatamente calcareo, di provenienza prevalente dal comprensorio apuano (2), mentre la valorizzazione sistematica del prodotto domestico avrebbe avuto massimo impulso dai decenni centrali del Novecento in avanti, con l’applicazione del diamante alle attività trasformatrici, ed infine, con quella del controllo numerico, che avrebbero permesso anche al granito di avviare un processo di espansione decisamente impetuoso, con riguardo particolare a quello ascritto nell’ultimo trentennio (3).

Oggi, il Brasile lapideo è la quinta potenza mondiale in campo produttivo e distributivo, con punti di forza di particolare impatto nel mercato interno e soprattutto nell’ambito dell’export, dove è primatista assoluto per quanto riguarda le spedizioni negli Stati Uniti, primo emporio mondiale (4). Dall’epoca coloniale ha fatto passi che non è azzardato definire giganteschi: tra l’altro, grazie all’apporto decisivo della tecnologia italiana, che fornisce tuttora la maggioranza assoluta delle macchine e degli impianti per la produzione e la trasformazione della pietra: ecco una sinergia di forte tradizione, decisamente consolidata, e certamente idonea a perseguire obiettivi di ulteriore sviluppo.

Carlo Montani

Annotazioni

(1) – Massimo Jacopi, Brasile: una Nazione verso il futuro, Edizioni Italo Svevo, Trieste 2010, pagg. 120. Tra le fortezze di maggiore rilevanza architettonica e strategica si ricorda anche quella di Manaus fondata nel 1669. L’occupazione completa dell’Amazzonia e del grande Nord avrebbe avuto termine soltanto nel secolo XVIII.

(2) – A metà del Novecento, il Brasile importava non oltre 10 mila tonnellate di manufatti lapidei, quasi esclusivamente italiani, provenienti in larga maggioranza da Carrara, mentre la sua produzione domestica, limitata al marmo bianco ed a pochi colorati (il granito era sempre oggetto di soli impieghi strutturali senza alto valore aggiunto) si limitava a novemila tonnellate (Enrico Walser, Les marbres de la Région Apuane, Gaunguin & Laubscher, Montreux 1956, pagg. 129-130).

(3) – Carlo Montani / Giulio Conti, Industria lapidea mondiale: Rapporto 1990, Società Editrice Apuana, Carrara 1990, pagg. 110. In questa prima edizione del “World Stone Report” la produzione lapidea del Brasile era ragguagliata ad un milione di tonnellate nette, pari al 3,3 per cento di quella mondiale (Ibid., pag. 44) mentre l’esportazione, costituita soprattutto da materiali silicei grezzi, ammontava a circa 400 mila tonnellate (Ibid., pagg. 90-91). Detti consuntivi trovavano conferma nelle cifre relative al 1988 fornite da Silvana Napoli, Settore lapideo: industria italiana e commercio internazionale, IMM Carrara 1990, pag. 29, dove la produzione estrattiva del Brasile era indicata in 970 mila tonnellate, a fronte di un export pari al 45 per cento. Il confronto coi livelli attuali, compresi quelli di trasformazione e di consumo interno, attesta che nel volgere di un quarto di secolo si è compiuto uno sviluppo esponenziale, notevolmente superiore a quello complessivo del mondo lapideo.

(4) – Carlo Montani, Marmo e pietre nel mondo: XXIX Rapporto lapideo mondiale / World Stone Report, Casa di Edizioni Aldus, Carrara 2018. La produzione brasiliana di materiali lapidei di pregio relativa al 2017 si è collocata nell’ordine degli 8,3 milioni di tonnellate (tav. 10) con un export netto pari ad oltre 2,3 milioni di tonnellate (tav. 36) costituite in buona prevalenza da prodotti finiti ad alto valore aggiunto.