Europa lapidea: un bilancio in chiaroscuro, ombre maggiori nel consuntivo italiano

rapporto 2016Nel mondo del marmo e della pietra, il 2015 verrà ricordato a lungo come un anno difficile, e per taluni aspetti contraddittorio, caratterizzato da un brusco regresso dell’interscambio quantitativo dopo decenni di sviluppo talvolta impetuoso (con la sola eccezione del 2009) ma nello stesso tempo, da una notevole accelerazione del valore medio per unità di prodotto, e quindi da un aumento della redditività, nei limiti consentiti dall’andamento dei costi.
L’Europa dei Ventotto non ha fatto eccezione, con alcune importanti riduzioni delle vendite estere in volume, come è accaduto in Italia, Portogallo, Spagna e Finlandia, ma il suo bilancio complessivo è stato meno pesante del previsto: infatti, Belgio, Francia, Germania e Polonia hanno chiuso il rispettivo export in crescita talvolta significativa, senza dire della Grecia, anch’essa in aumento, sia pure più contenuto, quasi a sottolineare il possibile ruolo anticiclico del marmo.
L’Italia ha fatto registrare un decremento delle quantità spedite all’estero, al netto dei sottoprodotti, nella misura di circa 100 mila tonnellate. pari al 2,7 per cento, ascrivendo un calo di 18 punti nei confronti del massimo storico raggiunto nel 2000, quando furono esportati oltre 3,6 milioni di tonnellate del prodotto lapideo. Nel raffronto di breve periodo rispetto al 2014, soltanto in Spagna si è avuta una flessione maggiore, nell’ordine delle 150 mila tonnellate.
Il calo italiano è dovuto soprattutto ai grezzi, mentre il prodotto finito ha confermato il consuntivo dell’anno precedente, dimostrando che la difesa del valore aggiunto, nella media, è riuscita a circoscrivere gli effetti della congiuntura critica. Assai più pesante è stato il bilancio dell’import, che negli ultimi nove anni ha chiuso sette volte in regresso, con un decremento di due terzi rispetto al massimo del 2006 ed una flessione di cinque punti nei confronti del 2014: una fotografia quasi impietosa delle condizioni in cui versa il mercato interno.
La quota dell’esportazione italiana sul totale europeo è stata pari al 27,5 per cento, mentre quella dell’import si è ridotta al 12,3: in entrambi i casi, con perdite ponderali significative, sia nel breve che nel lungo periodo. In altri termini, nonostante la pausa ascritta dalle spedizioni all’estero di Paesi leader quali Cina, Turchia e Brasile, la tendenza riflessiva del lapideo italiano non ha espresso soluzioni di continuità, perdendo un punto anche nello “share” mondiale, dove è scesa al 9,8 per cento, e collocandosi per la prima volta sotto la soglia psicologica di quota dieci. Quando si pensi che nel 2001 la quota di mercato era ancora del 30 per cento, le conclusioni sono facili.

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A dispetto di questo bilancio, la leadership dell’industria lapidea europea è rimasta in mano all’Italia, che occupa sempre il primo posto nella graduatoria dell’export ed il terzo in quello dell’import, dopo Germania e Francia (nel mercato tedesco gli acquisti di marmo e pietre hanno ascritto un calo ragguardevole, diversamente da quanto è accaduto su quello francese, in ripresa altrettanto apprezzabile).
Nell’Europa dei Ventotto il bilancio complessivo resta non facile, ma esprime una discreta competitività di fondo anche nel raffronto coi maggiori materiali alternativi, che conferma le quote di mercato nonostante la concorrenza “ingannevole” praticata da certi materiali ceramici, e ribadisce il tradizionale apprezzamento per la qualità e per i valori funzionali ed estetici del prodotto di natura, corroborati dalle alte doti di professionalità e di “know how” tipiche del lapideo.
Il momento, soprattutto in Italia, è oggettivamente complesso, ma i punti di forza sono tuttora vitali, sottolineando che esiste una reale potenzialità di ripresa attraverso il ruolo trainante della creatività e della fantasia che restano un ottimo strumento anticiclico anche nella congiuntura odierna. Basta metterli a frutto con una matura consapevolezza critica ed una reale capacità di investire, in un clima di fiducia il cui recupero compete soprattutto alla volontà politica.