Marmo e pietre: un trentennio di mutazioni strategiche

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Il Rapporto sul settore lapideo nel mondo – comprensivo del suo indotto – che nel 2019 è giunto alla trentesima edizione, consente di fare il punto sulla congiuntura, sempre non facile, e nello stesso tempo, sulle modificazioni strutturali intervenute in misura accelerata e profondamente innovativa rispetto alle precedenti vischiosità, cambiando i vecchi rapporti di forza con escursioni di grande ampiezza, spesso irreversibili. E’ consuetudine valutare i dati nell’ambito del breve periodo, ma l’analisi di lungo termine assume importanza decisiva nel quadro di un esame politico-economico del comparto, della sua storia e delle sue prospettive.

 

Rispetto ai tempi del primo Rapporto (1990), la produzione mondiale in volume è aumentata di circa quattro volte, alla luce di una domanda in forte crescita, supportata da uno sviluppo tecnologico senza precedenti, ed ha ascritto un’espansione notevolmente superiore a quella del sistema economico considerato nel suo complesso. Il materiale estratto, al netto degli sfridi di cava, ha raggiunto un volume nell’ordine dei 60 milioni di metri cubi. Dal canto suo, l’interscambio, consolidando il carattere di struttura portante del settore, è pervenuto ad oltre 56 milioni di tonnellate, con un aumento di quasi sei volte.

 

Il Rapporto esprime valutazioni mondiali che possono compendiarsi nella permanenza di un discreto stato di salute, esteso alle tecnologie ed ai beni di consumo, pur dovendosi tenere conto delle differenze strutturali insiste nella loro domanda. Detto questo, e preso atto della crescita impetuosa fatta registrare dai Paesi in via di sviluppo e segnatamente dalla Cina – che oggi vanta una produzione superiore ai 48 milioni di tonnellate ed un’incidenza del 31 per cento sul totale mondiale contro il quattro per cento del 1989 – è naturale attirare attenzioni specifiche sulle condizioni dell’Italia, la cui vecchia leadership produttiva appartiene alla storia: ormai la sua estrazione è stata superata, prima dalla stessa Cina, e dopo anche da India, Turchia, Iran e Brasile.

 

L’Italia non è riuscita a conservare il livello produttivo del 1989, con circa sette milioni e mezzo di tonnellate, scendendo a sei, mentre il suo “share” è sceso da un terzo del totale all’odierno quattro per cento. Nell’export, il consuntivo italiano è conforme a quello della produzione: il volume del 2018, pari a 2,6 milioni di tonnellate, è sceso di un quarto rispetto a quello di venti anni prima, con un calo più accentuato negli ultimi anni. L’occupazione, invece, è dimezzata, attestandosi intorno alle 30 mila unità, confermando quale residuo punto di forza uno storico primato nella produttività del lavoro. Condizioni critiche ricorrenti, sebbene meno accentuate, riguardano anche le produzioni italiane di macchine e di beni strumentali per marmo e pietre, con flessioni talvolta notevoli delle rispettive quote di mercato.

 

Alcune fonti continuano a diffondere considerazioni quasi ottimistiche utilizzando qualche dato marginale, ma sta di fatto che l’export evidenzia condizioni maggiormente critiche nel prodotto finito, pur esprimendo un prezzo medio di 78 dollari per metro quadrato equivalente (allo spessore convenzionale di cm. 2) che figura al massimo mondiale. Ciò, senza dire che l’import di grezzi, proseguendo nella discesa in atto da tempo, ha perduto oltre metà del volume acquistato, traducendosi in minori attività proporzionali di segheria e laboratorio: in altri termini, la politica del valore aggiunto non esiste e la concorrenza estera continua ad acquisire quote di mercato persino nella domanda domestica del prodotto finito. In queste condizioni, parlare di ripresa significa creare inutili illusioni.

 

L’aggregato lapideo nazionale deve tuttora acquisire una consapevolezza critica più matura dei suoi limiti e delle sue opportunità, a cominciare da quelle in chiave di investimenti produttivi e promozionali. Il Rapporto, per quanto gli compete, intende portare un contributo costruttivo a questo processo di documentazione e comunicazione, più che mai necessario quale strumento di una possibile inversione di tendenza e di uno sviluppo ancora perseguibile.