Africa: un continente lapideo in lista d’attesa

Le risorse naturali di marmi e pietre sono diffuse dovunque, ma in taluni casi la loro valorizzazione è tuttora marginale. Da questo punto di vista, parlando di grandi aggregati geografici, l’esempio dell’Africa è davvero emblematico: le ricchezze dei suoi giacimenti sono enormi, ma le strozzature che ne precludono lo sviluppo sono ben lungi dall’essere rimosse, nonostante gli auspici espressi più volte nelle sedi della cooperazione internazionale. In altri settori, anche collaterali, non è così: basti pensare a quello dei diamanti, in cui la produzione africana, guidata da Botswana e Congo, esprime una significativa maggioranza.
In campo lapideo, le tradizioni dell’Africa sono fra le più antiche, come attestano l’impiego dei suoi materiali nell’Impero Romano, le grandi opere egiziane, ed il livello avanzato che le tecniche estrattive avevano raggiunto in epoca storica. E’ una referenza che non basta: oggi, la quota mondiale di marmi e pietre spettante all’Africa è attestata su livelli molto contenuti, con stime produttive per il 2016 che si attestano intorno al sei per cento del totale, grazie all’apporto di due soli Paesi leader, quali Egitto e Sudafrica, Il primo dei quali è notevolmente sviluppato anche a livello di lavorazione, mentre il secondo risulta titolare di alcune esclusive prestigiose, con particolare riguardo a quelle del granito nero. Altrove, se si eccettua l’attività di cava in qualche giacimento di alto valore merceologico e cromatico, in genere ad iniziativa extra-continentale, e spesso italiana, come in Angola, Madagascar, Namibia e Zimbabwe, le strutture imprenditoriali di settore che possano definirsi competitive sono oggettivamente carenti.
C’è di più: qualche iniziativa mista di verticalizzazione non ha dato i risultati in cui si era confidato, sia per un’insufficiente qualificazione professionale, sia per talune difficoltà contingenti come quelle per l’ottenimento delle concessioni, per la gestione dei trasporti e per l’acquisizione di tecnologie in tempi funzionali. Si deve aggiungere che la politica di servizio da parte dei fornitori extra-continentali non è sempre ottimale: ad esempio, per quanto riguarda la disponibilità in tempo reale di ricambi e beni strumentali, più che mai basilare.
Negli ultimi decenni si sono organizzate importanti conferenze internazionali come quelle di Dakar e Lusaka, aventi lo scopo di promuovere forme di collaborazione con imprese di Europa, America od Asia, e con il supporto di forti Organizzazioni istituzionali, comprese quelle di espressione ONU, ma alla resa dei conti la carenza di infrastrutture, le difficoltà di accesso ai giacimenti, la mancanza di adeguati aggiornamenti professionali, l’incertezza del diritto e la stessa instabilità politica hanno finito per esaltare i limiti dell’Africa lapidea, a danno di oggettive e diffuse potenzialità.
E’ inutile aggiungere che l’iniziativa locale sconta negativamente le suddette carenze, cui si aggiungono quelle di natura finanziaria, a più forte ragione vincolanti. Esiste qualche eccezione, come nei Paesi dell’Africa mediterranea (Algeria e Tunisia), in Marocco ed in Etiopia, ma si tratta di fattispecie pur sempre circoscritte, anche se in qualche caso hanno dato luogo ad investimenti significativi sia nella fase estrattiva che in quella trasformatrice, con l’apporto di tecnologie italiane sempre apprezzate per qualità, rendimenti e sicurezza.
Non è azzardato affermare che la struttura operativa è rimasta spesso di tipo post-coloniale, sia pure non senza contributi relativamente apprezzabili allo sviluppo socio-economico delle zone interessate. Tuttavia, la complessità della congiuntura mondiale e la progressiva riduzione dei fondi resi disponibili a favore della cooperazione internazionale, soprattutto nel bilancio dei Paesi sviluppati dell’Occidente, hanno precluso un ampliamento delle prospettive di sviluppo.
L’Africa lapidea può aspettare, sia pure suo malgrado, perché possiede riserve di alto valore tecnologico e cromatico, e di forte consistenza quantitativa, destinate ad essere valorizzate in una logica di esportazione ma prima ancora nelle politiche locali di sviluppo edile. Tuttavia, sarebbe bene comprendere meglio che queste forme di valorizzazione possono essere – non solo nel campo del marmo e della pietra – un discreto antidoto a flussi migratori indiscriminati ed ai problemi che ne derivano nelle economie mature.