Valori estetici e culturali della pietra

La Scalata foto di Paula Elias

Le tradizioni della pietra si perdono nella notte dei tempi, cosa che ribadisce, assieme alla diffusione in tutto il mondo, la sua straordinaria universalità da riferire anche alla costanza, o meglio alla continuità con cui è stata utilizzata a scopo celebrativo, ancor prima che nelle costruzioni residenziali e nell’edilizia di rappresentanza. Del resto, non è forse vero che nel secondo libro della Bibbia viene data notizia della costruzione di un altare con le colonne di marmo? Evidentemente, il prodotto di natura aveva già acquisito un significato simbolico che poi ha confermato e che ribadisce la sua specifica peculiarità espressiva.

Al di là di questi valori, la pietra fu materiale da costruzione sin dall’antichità. La prima città di cui si conserva memoria storica, Gerico, venne edificata facendone ampio uso strutturale, che precede quello decorativo ma consente di scoprirlo in maniera quasi contestuale. Poi, ebbe ampio spazio nell’architettura religiosa ed in quella militare: in Brasile, ben prima che il primo telaio iniziasse a tagliare i blocchi nello scorcio conclusivo dell’Ottocento, i primi impieghi del granito furono destinati alle fortezze ed alle chiese.

La pietra è cultura, ancor prima di essere un prodotto industriale. Ciò si deve al suo impiego nell’arte plastica, non meno che nell’architettura: anche in questo caso, con tradizioni che risalgono alle civiltà più antiche, come quelle egiziana e greca, da cui sono stati tramandati autentici e sorprendenti capolavori. La pantera in diorite nera che fa bella mostra di sé al Louvre e che risale al terzo millennio avanti Cristo è un esempio particolarmente suggestivo dei livelli di assoluta perfezione che potevano essere raggiunti coi mezzi dell’epoca, oltre tutto lavorando un materiale di straordinaria durezza.

Oggi, l’uso lapideo è diventato ancora più esteso, e per usare un paradosso, ancora più universale, nel senso che ha perduto i caratteri elitari che aveva conservato fino alla metà del secolo scorso, senza rinunciare alle altre prerogative esaltate da uno straordinario progresso tecnico. Basti pensare che secondo note valutazioni compiute dal Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Siena i consumi di marmi e pietre che si sono avuti negli ultimi 70 anni hanno già superato tutti i precedenti, dai primordi in poi. Come si vede, la democratizzazione degli impieghi non è una trovata promozionale ma una realtà incontestabile.

La cultura della pietra ha trainato il consumo e non viceversa, intendendo quella di marmo, travertino, granito, ardesia e di tante altre pietre che hanno fruito del principio di iterazione dei comportamenti su cui si basa l’assunto pubblicitario. Si tratta di una cultura legata al fenomeno estetico e ad un concetto universale di bellezza ma non meno vincolata al fattore tecnologico, perché senza gli indici di resistenza e di durata che può vantare, per non dire degli altri parametri, il prodotto lapideo di natura non avrebbe potuto ascrivere un successo senza soluzioni di continuità, laddove parecchi materiali concorrenti hanno avuto glorie importanti ma effimere.

Per concludere con un noto aforisma, si può dire che se la pietra non fosse esistita si sarebbe dovuto inventarla. Per fortuna esiste, ed in misura talmente rilevante che nonostante la progressione degli impieghi molti giacimenti sono stati appena “assaggiati” mentre in diversi Paesi trainanti le valutazioni delle riserve accertate da coltivare e da valorizzare hanno permesso di definirne la durata in tempi biblici, talvolta secolari ed in qualche caso millenari. Va da sé che la pietra sarebbe un materiale “inerte” se non fosse intervenuto l’uomo con la sua capacità di scoprirne i pregi e le straordinarie capacità espressive; ma è altrettanto vero che senza il prodotto lapideo l’uomo sarebbe rimasto orfano di una “way of life” che, anche suo tramite, è diventata diversa e certamente migliore.