Cinquantenario della fiera scaligera
La Fiera veronese di marmi e pietre, e delle tecnologie per la loro lavorazione, si appresta a celebrare la cinquantesima vernice (2015): un traguardo obiettivamente prestigioso, anche a prescindere dal fatto che nel frattempo non poche manifestazioni analoghe siano sorte ed abbiano cessato di esistere dopo una vita più o meno lunga, come è accaduto in Europa e nel resto del mondo, nonostante lo sviluppo quasi esponenziale fatto registrare dal comparto lapideo e le crescenti esigenze promozionali che ne sono derivate.
In realtà, la Fiera vide la luce nella sede originaria di Sant’Ambrogio Valpolicella sin dal 1961, ma compie il cinquantennio soltanto ora, perché le prime edizioni furono caratterizzate dalla cadenza biennale, con una scelta che venne riveduta nel breve termine a favore dell’appuntamento annuo, alla stregua del grande successo tecnico, economico e commerciale che la rassegna aveva ascritto: in Italia l’espansione dell’edilizia e dei settori collegati procedeva alacremente, e gli scambi internazionali cominciavano a manifestare i segni di una crescita che sarebbe proseguita in modo quasi ininterrotto sino ai giorni nostri.
Il comprensorio scaligero ebbe il merito di coniugare le attese dei marmisti e dei produttori di tecnologie con quelle di un mercato in rapida crescita, creando un punto d’incontro in cui anche le iniziative collaterali ebbero un ruolo importante di documentazione e di arricchimento culturale, ma dove il confronto propositivo tra offerta e domanda divenne un ulteriore mezzo di crescita nell’ambito di una concorrenza capace di avviare e potenziare un forte effetto moltiplicatore.
Erano tempi di grandi speranze, messe a fuoco sin dai primi anni cinquanta: anzi tutto nella grande Campionaria intersettoriale di Milano, dove marmi e macchine avevano già dimostrato la propria idoneità ad inserirsi nello sviluppo con un apporto significativo, tecnicamente all’avanguardia e propenso a rivedere i canoni retorici che avevano contraddistinto gli impieghi dell’Ottocento e della prima metà del Novecento. Poi, la Biennale vicentina aveva richiamato le attenzioni di progettisti e costruttori sulla competitività tecnologica, oltre che decorativa, del marmo e della pietra, anche se qualcuno non aveva mancato di stracciarsi le vesti denunciando una crescita abnorme dei costi della manodopera, pervenuti ad un milione di lire in ragione annua (l’equivalente di 500 euro): tutto sommato, era una posizione di retroguardia, perché proprio in quell’epoca l’avvento del diamante industriale nei processi di lavorazione avrebbe dato luogo alla progressiva riduzione di un’incidenza del fattore professionale precedentemente prioritaria.
A Sant’Ambrogio, e poi a Verona, si fece un salto di qualità, soprattutto nel senso di quella democratizzazione degli impieghi che sarebbe diventata il “leit-motiv” dei decenni successivi, nel quadro di un progressivo contenimento dei costi e dei prezzi, pur nella necessaria salvaguardia degli equilibri di gestione. Ciò, come si diceva, senza dimenticare gli argomenti legati alla sicurezza ed alla cultura: qui, basti ricordare, fra gli altri, l’elevato livello dei convegni dedicati alla tutela dell’ambiente di lavoro ed al ruolo del marmo nell’edilizia religiosa, che per vari anni si tennero nell’ambito della Fiera.
Oggi, in occasione del cinquantesimo genetliaco della manifestazione, tutto è cambiato: la produzione lapidea italiana, pur essendo cresciuta di circa quattro volte in cifra assoluta rispetto a quella dei primi anni sessanta, non è più leader nel mondo, avendo ceduto il passo quantitativo ai Paesi extra-europei che vanno per la maggiore, quali Cina, India, Turchia e Brasile, ma conserva un primato professionale tanto più importante in quanto esteso al momento tecnologico, dove la leadership dell’Italia a livello mondiale è un fattore indiscusso, con un’esportazione estesa a 120 Paesi di tutti i Continenti. C’è di più: se la crescita del mondo lapideo è stata davvero impetuosa, ciò si deve alla funzione trainante dell’impiantistica italiana ed al contributo di un “know-how” di escavazione e lavorazione che si traduce in livelli massimi di ricerca applicata e di incremento delle rese.
In questo senso, il supporto fornito dalla Fiera di Verona è stato altrettanto importante, dando luogo ad una modificazione strategica del settore lapideo la cui evoluzione verso dimensioni compiutamente industriali si è fatta irreversibile: senza la Fiera ed i suoi flussi incessanti di partecipazioni, di visite, e naturalmente di contratti, la crescita sarebbe stata meno accelerata. Forse, non si sarebbe ancora realizzato l’assunto quasi icastico di cui all’annuncio dell’Istituto di Scienze della Terra dell’Università di Siena, secondo cui gli impieghi lapidei dell’ultimo cinquantennio avrebbero superato quelli di tutte le epoche precedenti messi assieme.
Sono passati più di 200 anni da quando il celebre scrittore François René de Chateaubriand, che Napoleone aveva inviato a Roma quale Segretario d’Ambasciata, si aggirava tra i ruderi carichi di gloria e di ricordi, mettendosi in tasca frammenti di alabastro, porfido ed altri lapidei di pregio, cui riconosceva uno straordinario valore simbolico. Nel nuovo millennio, non c’è più bisogno di un siffatto “souvenir”: basta venire alla Fiera di Verona, dove l’abbondanza di materiali e di campionature è di tale ampiezza da soddisfare il professionista più esigente, per non parlare dei cataloghi e delle pubblicazioni specializzate. Non basta: da 40 anni marmi e pietre sono stati riconosciuti materiali di interesse strategico, ed in quanto tali, idonei ad avviare processi di sviluppo dove altri settori sarebbero “strutturalmente inidonei”.
Si tratta di una modificazione epocale, a cui la Fiera ha contribuito in maniera tangibile, ma soprattutto continua, partecipando alla crescente diffusione degli impieghi, e quindi all’ottimizzazione funzionale ed estetica della nostra “way of life”. A mezzo secolo dalle origini, è un traguardo superiore ad ogni pur ottimistica previsione, ma nello stesso tempo, un punto di partenza verso nuovi, importanti obiettivi.