Export mondiale: chi sale e chi scende. Una congiuntura a macchia di leopardo

Il rapporto 2016 (Foto MarmoNews)

L’interscambio lapideo mondiale, dopo la notevole battuta d’arresto del 2015, ha ripreso a crescere, sia pure con notevoli vischiosità, e nel 2016 ha messo a segno una crescita complessiva dello 0,9 per cento, portandosi a 53,5 milioni di tonnellate, al netto dei sottoprodotti. Si tratta di un risultato positivo, laddove sia visto nell’ottica di una congiuntura difficile anche per i materiali concorrenti, ma non si deve dimenticare che è stato conseguito a fronte di una flessione contestuale dei ricavi pari al sette per cento, con un calo del giro d’affari superiore al miliardo e mezzo di dollari.
Nell’ambito degli otto maggiori protagonisti, che hanno contribuito all’export mondiale con uno “share” di almeno un punto, e che hanno ascritto il 70,6 per cento delle spedizioni globali, quattro hanno progredito, mentre altri quattro hanno visto ridurre le proprie quote. Il primo gruppo comprende India (+ 12.3), Brasile (+ 5.3), Grecia (+ 1.7) e Turchia (+ 1.6) mentre nel secondo trovano posto Portogallo (- 4.2), Spagna (- 6.7), Italia (- 7.3) e Cina (- 9.1). Quest’ultimo Paese mantiene il primato dell’export in cifra assoluta, grazie al forte vantaggio precedente, esprimendo tuttora il 21,6 per cento del totale, ed avendo fatturato 11,6 miliardi di dollari, ma il suo vantaggio sull’India si è dimezzato, riducendosi a poco più di tre punti.
Nella graduatoria degli otto Paesi leader, il 2016 ha visto il sorpasso del Brasile, salito al quinto posto assoluto ai danni della Spagna, mentre la Turchia ha consolidato il terzo posto, con uno “share” del 12,4 per cento. E’ da notare che i primi tre esportatori hanno assommato, da soli, il 52,3 per cento delle spedizioni mondiali, confermando una leadership che consente, in larga misura, un sostanziale controllo quantitativo dei mercati.
L’Italia, dal canto suo, ha confermato un trend discendente di lungo periodo, conservando il quarto posto ma perdendo un ulteriore mezzo punto nella quota di mercato mondiale, scesa al 5,2 per cento, ed ascrivendo una decrescita percentuale che risulta inferiore soltanto a quella della Cina. Va peraltro soggiunto che nel suo export del prodotto finito, struttura portante dell’export italiano, la quotazione media si continua a porre ai vertici mondiali, con un prezzo di oltre 68 dollari per metro quadrato equivalente (allo spessore convenzionale di cm. 2), che risulta quasi doppio rispetto a quello planetario.
Il panorama complesso del lapideo italiano, che cede anche nella graduatoria produttiva, dove si colloca al sesto posto con il 4,3 per cento dei volumi estratti nel mondo (dietro Cina, India, Turchia, Brasile ed Iran), trova completamento anche nell’import, pressochè dimezzato nel lungo periodo, con un consuntivo per il 2016 sceso a poco più di un milione di tonnellate: anche in questo caso, al sesto posto mondiale. Poiché l’import dell’Italia risulta costituito in larga maggioranza da grezzi, ne consegue la conferma di una tendenza al ribasso anche per quanto si riferisce alle attività trasformatrici nazionali.
Le conclamate esigenze di maggiori attenzioni per il settore lapideo italiano e per la sua notevole importanza socio-economica, in specie nei tradizionali distretti leader, ne traggono motivi di ulteriore ed evidente validità, assieme a quelle di adeguati interventi in campo infrastrutturale, finanziario, professionale, e naturalmente, nel sistema di promozione.

Marmo e pietre nel mondo. Sintesi del ventottesimo Rapporto annuale: consuntivo dell’esercizio 2016

Il trend di crescita del comparto lapideo mondiale avverte gli effetti di una congiuntura complessa in modo più significativo rispetto al passato. La grande crisi del 2009 era stata ampiamente superata nel quinquennio successivo, ma il bilancio del 2015 non era stato altrettanto favorevole, soprattutto nell’interscambio, caratterizzato da un regresso quantitativo del sette per cento. La tendenza si è nuovamente invertita nel 2016, ma il recupero è risultato circoscritto ad un punto, senza dire che ha coinciso con una flessione sia pure contenuta del valore corrispondente, e quindi con un sacrificio della redditività decisamente innovativo nei confronti delle strategie economiche settoriali dell’ultimo biennio.

L’utilizzo di marmi e pietre ha continuato a progredire sui mercati domestici, sia pure con un tasso ridotto: ciò, a fronte di una domanda sempre in tensione soprattutto nei maggiori Paesi protagonisti, a cominciare dalla Cina e dall’India, ma nello stesso tempo, quale conseguenza della maggiore offerta derivante dal contenimento dell’export, nell’ambito di una produzione meno elastica in quanto subordinata all’obbligo di valorizzare la capacità produttiva degli impianti ed il ritorno degli investimenti.

Giova ribadire che l’interscambio, fenomeno certamente decisivo nell’economia del comparto, ha visto una crescita limitata ai soli volumi, e soprattutto, ad alcuni Paesi leader. Al contrario, il giro d’affari ha manifestato rinnovate vischiosità, con un fatturato pari a circa 22 miliardi di dollari, concentrato in buona misura nell’export dei sette massimi esportatori: Cina, Italia, Turchia, India, Brasile, Spagna, Portogallo. In questa ottica, è fondato rilevare come il consuntivo del 2016 sia stato contraddistinto da una revisione della politica distributiva, con un occhio di ritrovate attenzioni per le attese di una committenza sempre interessata al giusto equilibrio fra qualità e prezzo: ciò, con un apprezzabile ritorno alla cosiddetta democratizzazione degli impieghi, che era stata carattere saliente del lungo periodo, dagli anni ottanta in poi, e che poi era stato subordinato alle opzioni prioritarie della gestione.

Nei confronti degli altri settori collegati all’edilizia ed in particolare di quelli contigui, il bilancio del comparto lapideo resta competitivo, con un rapporto sostanzialmente stazionario rispetto alla ceramica ed al grés porcellanato. Risultano in crescita, invece, i consumi della cosiddetta pietra artificiale soprattutto in alcuni importanti mercati extra-europei; d’altro canto, questo prodotto è costituito dal materiale di natura per una quota largamente maggioritaria, quasi a confermare il gradimento di parecchia clientela per i valori tecnologici ed estetici che sono caratteristica essenziale di marmi, graniti e materiali affini.

In assoluto, l’estrazione mondiale del 2015 è stata pari a circa 300 milioni di tonnellate al lordo delle perdite di cava e dei cascami di trasformazione: avuto riguardo ad un consumo complessivo per oltre un miliardo e mezzo di metri quadrati equivalenti, riferiti allo spessore convenzionale di cm. 2, risulta di tutta evidenza come la fondamentale questione degli scarti sia sempre prioritaria, sostanzialmente dovunque, ed in primo luogo nelle economie mature, più sensibili ad una ragionevole politica ambientale.
L’impiego pro-capite, dal canto suo, è salito a 252 metri quadrati per mille unità, a fronte dei 243 dell’anno precedente e dei 117 del 2001, con una crescita annua di lungo periodo nell’ordine dei tredici punti. Questa variabile, il cui trend di ascesa prescinde da ogni fluttuazione congiunturale, attesta in modo precipuo che la crescita di marmi e pietre conta su risultati probanti e sul gradimento degli utilizzatori, autorizzando previsioni di cauto ottimismo.

Emerge da queste cifre che il ruolo più importante nel quadro della mondializzazione è svolto sempre dall’interscambio quantitativo, prima ancora che da quello in valore: tenuto conto degli apporti di grezzo e lavorato, si è tradotto in un flusso pari ad oltre 790 milioni di metri quadrati equivalenti. Si deve precisare che la quota del grezzo è ulteriormente diminuita, scendendo sotto la soglia psicologica del 50 per cento ed evidenziando la ripresa di una modificazione strategica che aveva privilegiato l’economia di trasporto riveniente dalla maggiore movimentazione del prodotto lavorato.

Fra i caratteri salienti dell’interscambio lapideo, che sono andati consolidandosi nel tempo, si deve fare riferimento ad un’altra realtà significativa di settore: la maggioranza assoluta dei consumi mondiali si riferisce a materiali estratti e spesso trasformati in Paesi diversi da quello di posa in opera, alimentando un indotto di grande rilevanza economica, in primo luogo nel campo dei servizi.

I primi sei produttori (nell’ordine: Cina, India, Turchia, Brasile, Iran, Italia) hanno espresso il 71 per cento dell’estrazione mondiale, superando di oltre trenta punti la quota del 1996 e confermando le rispettive posizioni dell’anno precedente. La tendenza storica ad una progressiva concentrazione, generalmente estesa alle fasi trasformatrici ed alla distribuzione, ne risulta vieppiù consolidata. In particolare, la Cina, con circa 46 milioni di tonnellate estratte, ha ribadito il suo primato produttivo, con un terzo del volume di marmi e pietre prodotti nel mondo, mentre l’India ha fatto registrare un’espansione più celere, portandosi al 16 per cento della cifra planetaria.

I prezzi, alla luce delle opzioni gestionali di cui si è detto, comunque diversificate, sono stati caratterizzati da un ripensamento talvolta significativo delle strategie precedenti. Ad esempio, la stessa Cina, dove la quotazione media del finito aveva espresso una costante ripresa dal 2003 in poi, per accusare una flessione di qualche rilievo soltanto nel 2009, ha ceduto circa dieci punti nella quotazione del suo export di lavorati, scendendo dai 41,70 dollari per metro quadrato esportato nel 2015 ai 37,30 del 2016. Il fenomeno, cui non è estranea la dinamica dei cambi, conferma che le strategie distributive sono diventate duttili anche nei Paesi leader, dovendosi confrontare, in un mercato mondiale molto selettivo, con mutevoli equilibri di offerta e domanda, e con un differenziale di notevole ampiezza nei confronti delle economie mature, ed in particolare, di quelle dell’Europa occidentale. Cciò, con particolare riguardo all’Italia, che conserva il primato nella quotazione del manufatto lapideo spedito all’estero, pari a circa 67,60 dollari per metro quadrato, contro i 36,70 dei primi dodici Paesi esportatori, complessivamente considerati.

Sul piano merceologico, il 2016 ha visto un ulteriore recupero marginale del prodotto siliceo, soprattutto grazie agli apporti dell’India e della Cina, ferma restando la prevalenza quantitativa del calcareo, la cui incidenza sul consumo mondiale rimane intorno a tre quinti del totale. La destinazione prevalente è sempre quella degli impieghi nell’edilizia, con quote importanti destinate all’arredo urbano ed alla funeraria, nell’ambito di un ventaglio di consumi sostanzialmente stazionario.

A proposito della Cina, quale Paese leader in grado di determinare talune scelte strategiche anche in altri Paesi, si deve specificare che la sua esportazione in volume è diminuita di oltre un milione di tonnellate, dopo le 600 mila perdute nell’anno precedente, con un regresso del 9,1 per cento che sale al 13,5 per cento nel ragguaglio biennale; tuttavia, il calo dei prodotti finiti è rimasta stazionario, mentre è fortemente sceso il grezzo siliceo. I lavorati ad alto valore aggiunto hanno costituito il 78 per cento dei volumi cinesi spediti all’estero, con una crescita di sei punti, ed il 93 per cento del valore, in flessione di cinque. Sono ulteriormente diminuite le vendite di manufatti in Giappone, senza contare la battuta d’arresto negli Stati Uniti, mentre hanno trovato ottime conferme quelle in Corea del Sud ed in Vietnam, rispettivamente al primo e quarto posto della graduatoria. Il fatturato estero delle spedizioni cinesi, dal canto suo, è sceso del 10,4 per cento, riducendosi a 6,8 miliardi di dollari: talvolta anche i giganti piangono, pur confermando la loro appartenenza ad una dimensione massima.

Nell’ambito dei maggiori Paesi lapidei il consuntivo dell’Italia, contraddistinto dal primato di prezzo medio del manufatto, di cui si è detto, è stato notevolmente riflessivo, con una diminuzione produttiva marginale ed un nuovo calo dell’export in quantità – netto da sottoprodotti – pari al 7,3 per cento, dovuto tanto ai grezzi quanto ai lavorati; si è conseguentemente ampliato il differenziale negativo rispetto al massimo del 2000, salito a quasi 22 punti, la cui maggioranza risulta concentrata nell’ultimo triennio. L’importazione, specularmente, ha fatto registrare una diminuzione dell’ 8,5 per cento, da inquadrarsi in una permanente stasi del mercato interno, condizionato da un ristagno ormai cronico dell’edilizia: non a caso, negli ultimi dieci anni l’import lapideo italiano è diminuito per ben otto volte, e risulta più che dimezzato nei confronti del 2001.

L’esportazione settoriale dall’Italia, sempre nel 2016, si è riferita a manufatti per l’81,7 per cento del suo valore complessivo, con un’incidenza che costituisce il massimo del decennio, quasi a confermare, oltre a quella socio-economica, la sua preminente rilevanza strategica, mentre le spedizioni del grezzo hanno avuto un tradizionale punto di forza nel marmo, con circa nove decimi della rispettiva quota e cifre marginali per graniti ed altre pietre.

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Un ruolo settorialmente fondamentale resta quello dell’indotto ed in particolare delle tecnologie di lavorazione (macchine e beni strumentali). Per quanto riguarda l’impiantistica, il 2016 si è chiuso con una produzione mondiale quasi stazionaria – al pari di quella dei materiali – stimabile in circa tre milioni di quintali, oggetto d’interscambio nella misura di due terzi, e la conferma del primato italiano forte di un’esportazione che assomma al 69,3 per cento di quella europea in volume, ed al 62,3 per cento del valore corrispondente, mentre esprime circa un quarto dello scambio mondiale, interessando la maggioranza assoluta della domanda in diversi Paesi del Vecchio Continente, senza contare taluni extra-europei di forte rilevanza settoriale, con punte molto significative in Brasile, Australia ed Etiopia, dove la maggioranza assoluta della copertura di mercato risulta di appannaggio italiano. Ciò, senza dire di altri progressi ragguardevoli come quelli ascritti dallo quota del “made in Italy” di tecnologia lapidea in Canada, Messico e Cile.

L’export italiano di macchine ed impianti per la trasformazione di marmi e pietre ha interessato spedizioni nell’ordine dei 600 mila quintali, in calo di circa 16 punti nei confronti dell’anno precedente: ma si deve considerare che nel 2015 era stato raggiunto il nuovo massimo storico assoluto. Il volume d’affari del 2016 si è ragguagliato a circa 700 milioni di euro, con un valore medio per unità di prodotto che è pervenuto, a sua volta, al nuovo massimo di 1184 euro/quintale, contro i 1112 dell’anno precedente, i 1058 del 2013 ed i 974 del 2012. Ciò, confermando una competitività consolidata, in primo luogo sul piano della qualità e delle politiche di servizio, pur nel contesto di una concorrenza mondiale in crescita costante.

Il consuntivo della tecnologia italiana è completato dai beni strumentali, dove primeggiano tradizionalmente gli abrasivi e gli utensili diamantati, le cui esportazioni in valore hanno dato luogo a consegne per circa 370 mila quintali, ed un fatturato per oltre 285 milioni di dollari, che nell’ambito europeo risulta superato soltanto da quello tedesco. Nondimeno, in entrambi i Paesi leader nell’Unione si registrano flessioni di rilievo rispetto ai corrispondenti massimi, che sono parzialmente da ascrivere alle operazioni di “joint-ventures” effettuate in Paesi terzi dalle rispettive Case produttrici.

La movimentazione internazionale è stata caratterizzata, come in passato, da una larga e logica prevalenza dei mezzi navali. Si è confermato, peraltro, il ruolo importante dei trasporti ferroviari, sia a breve che a lungo raggio (ad esempio, negli approvvigionamenti cinesi di grezzi silicei provenienti dall’Europa settentrionale, peraltro in flessione pur essendo avvantaggiati dai nuovi tratti di Alta Velocità) mentre il numero di quelli su strada, funzionalmente complementari ai primi due fatta eccezione per i casi di lavorazioni e consumi di mercato locale, è cresciuto in misura sostanzialmente proporzionale alle produzioni, con una stima pari ad oltre 50 milioni di carichi e scarichi..

L’esame differenziato per Paesi dimostra che lo sviluppo del mondo lapideo è governato da processi assai variabili: se gli aumenti maggiori di estrazione e trasformazione sono stati conseguiti in Asia, non sono mancati apprezzabili spunti reattivi anche in un’area matura come quella europea, attestando la permanente idoneità di marmi e pietre ad elidere gli effetti di una congiuntura economica certamente non facile.

Consuntivi di segno negativo sul piano del fatturato estero, in specie di grezzi, ed in controtendenza rispetto ad un lungo trend di crescita, sono stati nuovamente registrati in Brasile, nonostante la significativa politica di valorizzazione delle pietre locali, con particolare riferimento al granito; senza dire della Turchia che continua a scontare la minore propensione all’acquisto di calcarei grezzi da parte cinese, mentre l’export di manufatti verso il tradizionale mercato statunitense non ha fatto registrare uno sviluppo conforme alla potenzialità della domanda, avendo coinciso con un regresso inatteso dell’import nordamericano di lavorati, che è stato pari al 6,1 per cento, interrompendo la tendenza positiva in atto da sei anni.

E’ appena il caso di sottolineare che l’inversione di tendenza registrata negli Stati Uniti suscita perplessità rese più rilevanti dall’annuncio di politiche protezioniste a favore delle produzioni locali, di cui ai nuovi programmi formulati dal Governo di Washington.

In aumento, sia pure circoscritto, risulta l’export dall’Iran, il solo Paese di rilievo ad avere incrementato le spedizioni di grezzo in Cina, dove ha raggiunto il quarto posto nella graduatoria dei rispettivi acquisti, dietro Turchia, Italia ed Egitto: un Paese, quest’ultimo, che sta potenziando la politica del valore aggiunto, al pari di quanto accade, sia pure in misura quantitativamente meno ampia, in Giordania e soprattutto in Palestina, dove l’incidenza del lapideo sul prodotto interno lordo si colloca da tempo ai vertici mondiali.

Una crescita interessante del prodotto finito riguarda anche il Sudafrica, nonostante la concomitanza con una buona ripresa del grezzo, che peraltro resta tuttora lontano dai massimi storici del suo export. Al riguardo, è congruo evidenziare come lo sviluppo distributivo dei manufatti sudafricani abbia saputo coniugare i caratteri cromatici del granito domestico e quelli di una domanda internazionale propensa all’acquisizione di colori forti, con la tradizionale strategia di valorizzazione della qualità e dei volumi estratti, le cui destinazioni prevalenti hanno continuato ad interessare l’Europa ed in modo particolare l’Italia, ma con ottime posizioni anche in Polonia, dove l’uso funerario del prodotto a pigmentazione scura fruisce di tradizioni consolidate.

Le previsioni produttive di marmi e pietre nel mondo, pur improntate a criteri opportunamente prudenziali rivenienti dall’estrapolazione delle serie storiche e dall’andamento pur contraddittorio dell’interscambio di breve periodo ma anche da uno scontato incremento demografico seguito da quello dell’edilizia, restano favorevoli, tanto che nel 2020 il volume dei lapidei di pregio estratti nel mondo dovrebbe salire a circa 170 milioni di tonnellate con un impiego non lontano dai due miliardi di metri quadrati equivalenti mentre il quantitativo oggetto di scambio internazionale andrebbe a definirsi in misura proporzionale, e quindi oltre il miliardo di metri.

E’ fondato presumere che il trend del comparto lapideo mondiale, superato il collo di bottiglia indotto dalle situazioni di ristagno presenti nel sistema, possa riprendere con un tasso conforme a quello di lungo periodo; si porranno, tuttavia, maggiori problemi di creazione delle infrastrutture, di adeguamento impiantistico e di collocazione dei cascami, a tutti i livelli nazionali e regionali. Sono problemi da affrontare tenendo conto del ruolo decisivo degli investimenti – e quindi del credito – e della necessità di potenziarli sul piano aziendale attraverso adeguati incentivi: ciò, sia per il momento produttivo, sia per quello della comunicazione e della promozione, con attenzioni particolari per la questione degli scarti, le cui difficoltà di stoccaggio e di compatibilità ambientale costituiscono una strozzatura di evidenza prioritaria.

La cooperazione internazionale è certamente in grado di esercitare un nuovo ruolo propulsivo, a cominciare dalle possibili soluzioni di questi problemi strategici, con un impatto tanto più concreto nella misura in cui sia supportata dall’azione congiunta delle Organizzazioni imprenditoriali del comparto lapideo, che a livello sovranazionale non è ancora conforme ad esigenze politiche oggettive, ai bisogni delle imprese e del fattore lavoro, ed agli stessi auspici storici.

Il settore possiede contenuti professionali molto alti e la possibilità di creare nuovi posti di lavoro con mezzi finanziari limitati, tanto che da quasi mezzo secolo è stato ritenuto ufficialmente idoneo – anche da parte dell’Organizzazione delle Nazioni Unite – ad avviare processi di espansione laddove altri comparti non potrebbero esprimere analoghe capacità strategiche e tattiche. Quindi, ha diritto ad essere oggetto di consapevoli attenzioni sia nei Paesi terzi, dove costituisce un’occasione importante di incremento del valore aggiunto, sia in quelli maturi, dove si traduce in aggregati di notevole importanza dal punto di vista economico, tanto più importanti in permanenza di una congiuntura economica ed occupazionale obiettivamente complessa.

Marmi e pietre d’Italia: Patrimonio storico ed opportunità di crescita

Foto Ennevi

Sia pure in una strategia difensiva, il comparto lapideo italiano è sempre sulla cresta dell’onda: ciò, nonostante il regresso della produzione e dell’export in atto da tempo, ed il progressivo abbassamento della quota di mercato mondiale. Del resto, tale congiuntura non riguarda soltanto marmi e pietre, ma si estende all’intero sistema Paese, considerato nel suo complesso.
La forza reattiva del settore, dovuta alla professionalità, alla tecnologia ed alla tradizione, consente all’Italia di conservare importanti nicchie di mercato, con particolare riguardo ai materiali tipici, alle zone estrattive e trasformatrici più avanzate, ed alle capacità d’investimento delle aziende leader, che peraltro costituiscono una quota molto ristretta del totale, la cui maggioranza è costituita da piccole imprese con dimensioni spesso artigianali.
In buona sostanza, la strategia generale sembra essere quella di una tutela dell’esistente, a caratura generalmente conservatrice. Nonostante le promesse politiche di lungo periodo, gli impegni associativi, le istanze sindacali ed i riconoscimenti della committenza qualificata, è mancato un disegno promozionale organico, e molte risorse del comparto sono rimaste prive di valorizzazione, andando ad accrescere la lunga serie delle occasioni perdute.
Marmi e pietre d’Italia esprimono riserve diffuse su tutto il territorio nazionale, con almeno duemila punti di cava, compresi quelli in cui l’attività estrattiva, un tempo di qualche rilievo, è tristemente chiusa, ma in cui è sempre in grado di riprendere: da questo punto di vista, il comparto possiede un grado piuttosto alto di elasticità, che è precluso ad altri settori industriali, anche contigui. La letteratura tecnica attesta l’assunto in modo esaustivo: per citare soltanto le fonti essenziali, basti ricordare la grande opera di Paul Dumon sui materiali (Givors, 1973) ed il “Manuale dei Marmi Pietre e Graniti” in tre volumi (Milano, 1983).
Si tratta di opere che conservano piena attualità e costituiscono un memento alla volontà politica, ed a quella imprenditoriale, nel senso che dimostrano l’esistenza di tante opportunità, al momento “in sonno” a causa delle difficoltà di mercato, ma non certo dell’idoneità tecnologica e cromatica dei materiali, a supportare iniziative di sviluppo, sia pure a livello comprensoriale o regionale. Con una disoccupazione alle stelle, soprattutto nell’ambito giovanile, marmi e pietre offrono occasioni da valutare attentamente nelle sedi competenti; ad esempio, anche nelle zone recentemente terremotate di Marche, Umbria, Abruzzi e Lazio, che posseggono riserve accertate oggetto di attività storiche spesso apprezzabili.
Dal canto suo, anche la nomenclatura esprime riferimenti lapidei a dir poco affascinanti. Stante l’impossibilità di citare almeno duemila materiali, oltre alla necessità di non fare torti a chicchessia, e fermo restando che le riserve in parola appartengono a tutte le Regioni, comprese quelle di minore incidenza nel panorama settoriale produttivo e distributivo, piace ricordare, a titolo di esempio, almeno l’Unghia di Venere (Montalcino), che “ha trovato impiego d’eccezione, per effetti architettonici e cromatici esaltati dalla trasparenza, nella Basilica di Sant’Antimo” (Manuale dei Marmi Pietre e Graniti, vol. II, pag. 75), in agro di Csatelnuovo dell’Abate (Siena).
E’ inutile aggiungere che le riserve dalle potenzialità specifiche non riguardano soltanto il marmo, ma anche gli altri lapidei: sempre a titolo esemplificativo, si ricordino l’Alabastro di Latronico (Potenza) od il Granito dell’Isola del Giglio che, come rammenta la medesima fonte, ebbe “applicazioni d’eccezione come quelle nella Chiesa di Santa Croce in Gerusalemme ed in quella di San Crisostomo in Trastevere”.

Sia chiaro: questi spunti di riflessione non intendono costituire una divagazione culturale, sia pure suggestiva, ma vogliono esprimere un orientamento circa opportunità future, con riguardo prioritario a quelle collegate ad una ripresa del mercato interno tanto più auspicabile alla luce del nuovo vento protezionista che ha preso a spirare con forte impeto, a cominciare da quello su mercati importanti, se non addirittura decisivi per l’export lapideo italiano, come gli Stati Uniti d’America e la Gran Bretagna.
Esiste una correlazione importante fra il patrimonio storico e le opportunità di crescita che in ogni caso è bene mettere a fuoco: le nuove difficoltà del mercato globale implicano un nuovo bisogno di programmazione intelligente, lontana dalle dannose suggestioni della demagogia e della passerella politica, ma rivolta – secondo ragione e convenienza – allo sviluppo del bene comune.

Export lapideo italiano: Continua la crescita della redditività in un mercato riflessivo

(Foto Daniele Canali)

I dati circa le spedizioni all’estero di marmi e pietre nei primi otto mesi dell’esercizio 2016 hanno confermato la precarietà della congiuntura già rilevata in precedenza, con qualche accentuazione nelle quantità vendute, ma nello stesso tempo, con un’ulteriore crescita della redditività, che sembra inserirsi in una tendenza generale già illustrata nel “XXVII Rapporto mondiale” del settore presentato alla Fiera di Verona.

 

A conti fatti, il valore medio per unità di prodotto dell’esportazione lapidea italiana è cresciuto del 3,8 per cento nei grezzi e del 5,5 per cento nel prodotto finito, con incrementi rispettivi da 718 a 745 euro per metro cubo, e da 53,8 a 56,8 euro per metro quadrato equivalente (nel ragguaglio allo spessore convenzionale di cm. 2). E’ l’altra faccia della medaglia: da una parte si sono cedute quote di mercato, ma dall’altra, chi è rimasto competitivo ha potuto conseguire risultati migliori di gestione.

 

Il fatto che questi consuntivi si riferiscano a due terzi dell’esercizio 2016, confrontati con lo stesso periodo dell’anno precedente, fa presumere che quelli finali possano essere sostanzialmente conformi. Tuttavia, sarà importante confrontarli soprattutto con i risultati conseguiti dagli altri maggiori Paesi lapidei, a cominciare dalla Cina, che nel 2015 aveva fatto registrare la crescita più alta della redditività.

 

Il comparto lapideo italiano, in buona sostanza, continua a perseguire una strategia qualitativa, supportata dal costante adeguamento tecnologico, che consente, se non altro, di trasferire sui prezzi le maggiorazioni dei costi produttivi, almeno da parte delle imprese capaci di investire in misura conforme alle esigenze del mercato. Quelle marginali, invece, possono sopravvivere all’insegna di una precarietà sempre più selettiva.

 

Lo stato di salute non ottimale del marmo e della pietra, quale emerge dall’analisi dell’interscambio italiano, ha trovato conferma nel ridimensionamento dell’import di materiale grezzo, espresso da consuntivi a due cifre. Ciò significa che la domanda interna continua a languire, con ovvie conseguenze per quanto riguarda le attività domestiche di trasformazione. In altri termini, il solo parametro in ascesa resta quello del valore medio all’export, significativamente più alto nel lavorato, con tanti saluti a chi continua a mettere in dubbio la validità delle politiche di valore aggiunto.

 

Una prima conclusione di tutta sintesi consente di porre in luce che il materiale lapideo, bene comune di forte impatto sociale, continua a svolgere un ruolo di promozione economica da tutelare e da valorizzare, in analogia a quanto stanno facendo i Paesi che hanno compreso le funzioni strategiche del comparto e la sua idoneità a supportare la tutela socio-economica dei comprensori interessati, ed in prospettiva, uno sviluppo consentito dall’apprezzamento per il prodotto di natura e dalle dimensioni della domanda mondiale.

Marmi e pietre nel mondo: Produzione, consumi e redditività in crescita globale

E’ stato rilevato in parecchie occasioni ufficiali come l’idoneità del settore lapideo a promuovere politiche di sviluppo dove ad altri non sarebbe strutturalmente possibile, sia fuori discussione, e come abbia acquisito alti riconoscimenti nelle sedi più qualificate, a cominciare dall’Organizzazione delle Nazioni Unite con la nota Dichiarazione del 1976. In precedenza, il IX Congresso dell’industria marmifera europea aveva già attirato l’attenzione dei Governi nazionali e regionali sul ruolo trainante della pietra anche in chiave sociale, auspicando l’adozione di opportuni incentivi capaci di valorizzare tale opportunità, ed aveva costituito la Federazione internazionale del settore (oggi Euroroc) con lo scopo di promuovere uno sviluppo più organico del comparto (1964).

 

Oramai, diversi Paesi hanno riconosciuto il ruolo strategico di marmi e pietre ed aggiornato la propria legislazione per quanto di conseguenza, inquadrando i prodotti lapidei nell’ambito dei materiali minerari di prima categoria. Ne sono scaturiti parecchi risultati economici e sociali di buona consistenza, soprattutto dal punto di vista delle crescite occupazionali, degli investimenti e del valore aggiunto. In ogni caso, sono parecchi i Paesi in cui la volontà politica nazionale ha preso atto del rilievo di marmi e pietre nell’ambito della programmazione, anche fra quelli di primaria importanza settoriale, come Brasile, Egitto, India, dove la linea del possibile ha cominciato a spostarsi in avanti, a fronte delle conseguenti opzioni promozionali che stanno diventando punti di riferimento anche per gli altri.

 

Il progresso lapideo è incontestabile, ad iniziare dal gradiente di sviluppo notevolmente superiore a quello dell’economia mondiale considerata nel suo complesso, avendo tratto largo vantaggio dalla diffusione sostanzialmente universale delle riserve, ed in misura altrettanto ampia, dal forte avanzamento tecnologico. Ciò, sebbene la politica di ricerca estrattiva sia tuttora limitata: soltanto in pochi casi la conoscenza del territorio è davvero esauriente, come in alcuni Stati europei, in Arabia Saudita, in altri Paesi del Golfo, in Palestina od in Turchia, facendo presumere che nuove importanti risorse possano essere condotte alla vista e quindi alla coltivazione.

 

In taluni casi, lo sviluppo è stato esponenziale. Del resto, negli ultimi 25 anni la produzione ed i consumi mondiali sono triplicati, mettendo a segno un progresso straordinariamente elevato anche nel campo qualitativo, con particolare riguardo alle lavorazioni speciali. Ciò, senza dire che le valutazioni storiche effettuate a livello scientifico hanno posto in evidenza che il volume dei marmi e delle pietre scavati nel mondo negli ultimi due terzi di secolo é stato superiore a quello di tutte le epoche precedenti, sin dall’antichità più remota. Chi si fosse ostinato a presumere che il settore svolge un ruolo di retroguardia, nel quadro di residue concessioni ad un prestigio retorico ed anacronistico, in qualche misura autoreferenziale, avrebbe commesso un errore macroscopico.

 

Per comprendere quanto siano ampie le odierne dimensioni del settore, basti sottolineare che la produzione mondiale del 2015, al netto degli scarti di cava, è stata pari a 140 milioni di tonnellate, destinate all’interscambio nella misura del 54 per cento. In effetti, il volume del commercio estero settoriale si è ridotto di alcuni punti, ma ciò non ha compromesso la continuità di crescita delle produzioni, sia pure con un tasso più contenuto, perché i mercati domestici hanno sopperito in modo adeguato al rallentamento dell’export, soprattutto nell’ambito extra-europeo, ed anzitutto in Cina.

 

Il progresso indotto dal settore lapideo, a parte quello economico e tecnologico, spazia in un contesto più ampio e nobile, a cominciare dal perseguimento della cosiddetta “qualità totale”. Non è un caso che la progettazione moderna abbia riscoperto gli utilizzi del marmo, del granito e delle altre pietre sia nell’edilizia di rappresentanza, sia in quelle civili ed economiche, grazie a caratteri funzionali ed espressivi di grande competitività, ed alla capacità di offrire manufatti ad altissimo valore aggiunto prodotti serialmente, come negli arredi per il bagno, nei piani da cucina, nelle lavorazioni a massello, in alcuni tipi di oggettistica, e via dicendo.

 

 

 

Vale la pena di ribadire che le economie di durata e di manutenzione sono tali da motivare ampiamente qualche maggiorazione di prezzo, che proprio negli ultimi esercizi ha permesso di ottimizzare i risultati della gestione industriale anche nei Paesi in via di sviluppo: ad esempio, nell’ultimo quinquennio il prezzo medio del manufatto lapideo cinese oggetto di esportazione è raddoppiato, raggiungendo il nuovo massimo di oltre 40 dollari per metro quadrato equivalente nel consuntivo per il 2015, ed ascrivendo un risultato di ovvia utilità anche per quanto riguarda l’autofinanziamento degli investimenti, tanto più importante in una congiuntura di oggettive difficoltà nell’accesso al credito, sia ordinario che agevolato, come quella odierna.

 

Il rapido progresso conseguito nel “modus vivendi” dell’uomo contemporaneo ha trovato un fondamento significativo nella democratizzazione d’impiego dei materiali più selettivi, come marmi e pietre: è un percorso che continua nonostante la scoperta della redditività crescente, perché lo sviluppo tecnologico ha continuato ad esercitare il suo ruolo tradizionale di contenimento dei costi, e quindi dei prezzi, in un ventaglio capace di soddisfare quote maggiori del mercato.

 

Ciò che un tempo era riservato ad una schiera piuttosto ristretta di fruitori ha finito per diventare accessibile ad una clientela più ampia: motivo ulteriore per sottolineare come il consumo medio per abitante, che nel mondo di oggi ammonta ad oltre 240 metri quadrati per mille (riferiti allo spessore convenzionale di cm. 2) con punte massime di oltre un metro pro-capite in Arabia Saudita, Corea del Sud, Belgio e Svizzera, sia destinato ad aumentare, potenziando un trend in ascesa che perdura da molti anni e che ha permesso di raddoppiare la quota del 2001, inferiore ai 120 metri quadrati.

 

L’esame dei parametri essenziali attesta che l’espansione lapidea globale è sempre in atto, come si conviene a materie prime quali marmi e pietre, capaci di esaltare i valori estetici della bellezza ma prima ancora quelli etici, a cominciare dalla pace.

 

Macedonia: Il marmo come strumento di sviluppo

Ad un ventennio dalla propria indipendenza, la Repubblica di Macedonia sorta dalla disintegrazione della ex Jugoslavia ha trovato nel marmo una fonte di reddito apprezzabile, soprattutto nel distretto di Prilep, quarta città del Paese, grazie ai suoi giacimenti del Bianco Sivec: un cristallino compatto, le cui produzioni di prima scelta pongono a disposizione della clientela blocchi, lastre e manufatti di valore monocromatico assoluto, che ne hanno fatto un prodotto particolarmente apprezzato, anche alla luce delle sue riserve oggettivamente limitate.

 

Stante la dimensione modesta del mercato interno, che riguarda un Paese con due milioni di abitanti su un’area pari a 25 mila chilometri quadrati, le fortune del comparto lapideo macedone sono legate soprattutto all’esportazione, che nel 2015 ha interessato spedizioni per 79 mila tonnellate, costituite per nove decimi da grezzi, ed un valore nell’ordine dei 22 milioni di dollari. Possono sembrare cifre di poco conto, ma nel ragguaglio al 2001, quando le vendite all’estero si erano fermate a 30 mila tonnellate ed a cinque milioni di dollari, non si può negare che sia stato conseguito un progresso molto significativo.

 

La Macedonia lapidea non possiede soltanto il Bianco Sivec, ma può contare su altri giacimenti di buon rilievo come quelli in agro di Gostivar. Tuttavia, le caratteristiche tecnologiche e soprattutto cromatiche del Sivec ne hanno fatto il materiale di gran lunga più conosciuto e promozionato, anche nelle manifestazioni fieristiche leader, a cominciare da quella di Verona.

 

Le strutture di trasformazione sono relativamente limitate, ed in prevalenza fanno capo ad investimenti greci, resi attuali e competitivi da un regime fiscale favorevole. Non a caso, la stessa esportazione grezza, struttura portante del settore, interessa proprio la Grecia come primo mercato di sbocco, seguita nell’ordine da Cina, Italia e Turchia: in particolare, nel 2015 le importazioni italiane hanno avuto riguardo a circa seimila tonnellate, pari a nove punti percentuali. Fra le altre destinazioni, quelle con un flusso superiore alle mille tonnellate hanno interessato, sempre nel 2015,  Albania, Serbia e Bulgaria. In sostanza, fatta eccezione per le vendite in Cina, i mercati di maggiore interesse per il marmo macedone sono quelli europei contigui.

 

L’importazione è pervenuta a 26 mila tonnellate, contro le 13 mila del 2001, ed è costituita in buona maggioranza da prodotti finiti, compresi quelli di granito, di cui la Macedonia è priva. In ogni caso, oltre un quarto degli approvvigionamenti esteri sono di grezzi, a conferma di una buona funzionalità delle strutture trasformatrici locali.

 

Allo stato delle cose si può dire che la Macedonia lapidea è identificabile soprattutto nel Bianco Sivec: un materiale che, anche alla luce dei costi contenuti e del regime operativo oggettivamente elastico, costituisce una concorrenza di qualche rilievo per le produzioni altrui, non soltanto apuane, ma anche turche ed elleniche, e ripropone, soprattutto in Italia, l’esigenza di adeguate iniziative a tutela dei suoi prodotti esclusivi.

 

Nasce il colosso degli “scarti”: Carrara Marble Way

(Foto Daniele Canali)

(Foto Daniele Canali)

Si è costituita ieri mattina presso la Internazionale Marmi Macchina la Carrara Marble Way srl, una società composta da 40 aziende estrattive del comprensorio carrarese a cui fanno capo 48 cave. La nuova società gestirà gli scarti dell’estrazione: sassi, scaglie e terre. L’obiettivo si spinge oltre il commercio degli scarti e mira a valorizzarli a fini artistici e innovativi con collaborazioni con le vicine università.

Il capitale sociale è di 1.840.000 euro e il cda è composto da 19 imprenditori.

Marmo bianco: una congiuntura complessa

Foto Daniele Canali / Marmonews.it

Foto Daniele Canali / Marmonews.it

Le ultime notizie apuane sul regresso del marmo bianco nel primo semestre del 2016 hanno suscitato preoccupazioni diffuse negli ambienti del settore, come è logico che sia, anche se i dati di breve periodo hanno sempre bisogno di verifiche più esaurienti. Poi, bisogna aggiungere che le cifre più critiche, se non altro per la loro consistenza quantitativa, sono quelle dell’export grezzo, cosa non certo sorprendente vista la flessione dell’interscambio mondiale di blocchi, già ascritta nel 2015, soprattutto da parte asiatica.
Vale la pena di sottolineare che il bianco non è certo un’esclusiva apuana, come ha dimostrato, se per caso ve ne fosse stato bisogno, l’ultima fiera di Verona, grazie alla rinnovata presenza dei corrispondenti materiali italiani, come quelli di Covelano e di Lasa, per non dire della sempre più forte partecipazione estera: basti citare, per limitarci alle più significative di fonte europea, le offerte di bianchi provenienti da Grecia, Macedonia, Bulgaria, Romania, Turchia (ma l’elenco potrebbe continuare per quelle di altri continenti).
Nel comprensorio apuano non si può coltivare la vecchia illusione secondo cui il bianco sarebbe un’esclusiva locale, sia pure prestigiosa. Al contrario, bisogna prendere atto di una situazione che è cambiata in maniera radicale e continua ad evolversi secondo la ragionevole esigenza di valorizzare le proprie risorse, tipica di ogni Paese in possesso di una politica industriale degna di questo nome. Certo, esistono talune rendite di posizione collegate alla qualità ed alla tradizione, ma nel mondo globale sembrano ragionevolmente destinate ad ulteriori elisioni.
In talune sedi, a cominciare da quella sindacale, si è insistito parecchio sulla necessità di valorizzare il marmo, inteso come bene comune, mediante una più oculata politica di verticalizzazione. Si tratta di un’idea che in teoria nessuno potrebbe contestare ragionevolmente, ma quando si scopre che la crisi investe anche il prodotto finito, viene da chiedersi se il problema non stia altrove: nella carenza degli investimenti, nelle difficoltà di accesso al credito, nella mancanza di ricambi professionali, nella latitanza di una politica estrattiva e della certezza del diritto. In una parola, nel crollo della fiducia, che sta alla base di ogni intrapresa.
Detto questo, stracciarsi le vesti quando le serie storiche della produzione e delle vendite vanno verso il basso appare decisamente inutile. Sarebbe congruo, invece, predisporre un programma di possibili interventi anticiclici, d’intesa con tutte le forze produttive, sociali, e soprattutto politiche, in cui si prenda atto non tanto dei numeri, quanto delle cause che li hanno determinati, e si converga su strategie condivise, basate su misure normative, professionali e finanziarie prioritarie, al cui seguito potranno unirsi quelle di una promozione intelligente.
E’ una storia vecchia che peraltro, quando si parla del bianco, si ripropone troppo spesso in modo ripetitivo. Ergo, bando alle parole, e spazio ai fatti.

Marmi e pietre in Italia: Occupazione e redditività nelle Aziende leader del settore lapideo

CanalgrandeAl pari di quanto accade nel resto del mondo lapideo, dove la flessione dell’interscambio globale non ha impedito una significativa crescita della redditività, particolarmente accentuata in Cina, i risultati delle maggiori Aziende italiane, quali emergono dai bilanci per il 2014, evidenziano la permanenza di una gestione positiva, tanto più importante in un sistema produttivo e distributivo caratterizzato da troppi vincoli, a cominciare da quelli finanziari ed ambientali.
Un campione relativo alle prime nove Aziende del settore in termini di fatturato (quattro del comprensorio apuano, tre venete, e due centro-meridionali), consente di verificare che nell’esercizio in parola il volume d’affari ha raggiunto i 334 milioni di euro, con un utile dichiarato nell’ordine dei 18,6 milioni, pari al 5,6 per cento. Quanto all’occupazione, l’aggregato delle suddette Società leader poteva contare su 810 addetti, con un fatturato pro-capite di 413 mila euro, ed un utile di 23 mila.
A parte la scarsa incidenza del campione sul livello occupazionale complessivo del comparto lapideo italiano, che ne conferma la storica parcellizzazione in un ampio coacervo di piccole unità produttive (le Aziende con almeno cento dipendenti in organico risultano soltanto quattro), è facile constatare che nei confronti dell’industria marmifera mondiale il ruolo dell’Italia appare quello di un Paese ulteriormente limitato, in primo luogo nella capacità di partecipare all’espansione avutasi negli ultimi 25 anni, con le sole eccezioni del 2009, ed appunto, del 2015.
Un’altra considerazione importante riguarda il fattore umano: tenuto conto dell’orario di lavoro vigente in Italia, è facile rilevare che ad ogni ora di prestazione professionale hanno corrisposto, sempre nel 2014, un fatturato di circa 270 euro ed un utile di 15: cifre da meditare tanto in sede imprenditoriale quanto in quella sindacale, e prima ancora in quella politica, perché confermano la scarsa competitività del settore, sia in assoluto, sia in rapporto alle altre attività produttive italiane, ad iniziare da quelle riguardanti i comparti contigui.
In tutta sintesi, l’analisi dei risultati di bilancio conseguiti dalle Aziende maggiori, pur dando atto di un equilibrio gestionale che riesce a coniugarsi con l’esistenza di tante strozzature, in primo luogo fiscali e creditizie, dimostra che gli spazi per una moderna politica di investimenti restano oggettivamente ristretti in un sistema che, alla luce della politica bancaria attuale, finisce per dover contare soprattutto sull’autofinanziamento. Va aggiunto che i consuntivi delle Aziende di minore dimensione non possono presumersi ragionevolmente migliori di quelli del campione.
Concludendo, pur nell’apprezzamento per consuntivi che hanno confermato la permanente capacità delle imprese di affrontare la congiuntura con le necessarie attenzioni e con la tradizionale diligenza del buon padre di famiglia, bisogna ammettere che i margini per uno sviluppo conforme alle potenzialità dei mercati esteri, visto che quello interno continua a soffrire per un ristagno edilizio senza pari nel mondo, sono oggettivamente limitati; e che senza un intervento consapevole della volontà politica, più volte invocato, non si andrà troppo lontano.

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